1. Neneh Cherry, Naked
Le si voleva tanto bene, e lei è sparita. 7 seconds, e poi vent’anni. Ma che bel ritorno, questa Neneh del nuovo Blank project: un drum’n’bass organico, come uno yogurt di rullanti e loop tastierini interamente tessuti dal duo avant-jazz londinese RocketNumberNine e registrati in una chiesa sconsacrata a Woodstock da Kieran Hebden alias FourTet, a liberare in economy la sua coolness svedese, il suo freestyle di vocalizzi né rap né soul ma entrambe le cose; ed è come un’ape regina di tribù eco-nerd che festeggia a miele, marijuana, multitasking e megawatt.
2. Suzanne Vega, Jacob and the angel
Con lei era diverso, niente amore viscerale, ma la sua compagnia ci confortava. Nella sua voce pulita trovavamo i riflessi di cose cui avremmo dovuto pensare prima, le premonizioni di una maturità ancora di là da venire. Non era sparita, si era solo diradata in un’esistenza newyorchese; e riecco pure lei, con un album che la restituisce integra, fedele al suo songwriting classicamente fine, pur con qualche indulgenza simbolica in più. La riabbracciamo in ballate come questa, tersa e tesa in un flamenco dell’anima che riscalda col suo fiato bene invecchiato.
3. Maria Antonietta, Giardino comunale
Poi c’è la meglio gioventù e il suo saper risvegliare i sensi. “Continuerò a fare quello che mi pare / questo è / sicuro / nella purezza come ho fatto sempre”. Come una Caterina Caselli destrutturata, cruda come il sushi e le viscere di Pj Harvey, riecco la pasionaria di Pesaro battezzata Letizia nel 1987, una da cui ci si può immaginare di essere incuriositi anche tra 27 anni. Fin dal titolo del nuovo album, Sassi, si ritrovano gli indizi di una personalità dirompente, ben servita dalla pulizia grezza dei due capatosta che la producono stile alt.italo Stax pop.
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