1. Ibo Combo, Ti garçon

Ma anche il groove Ti lu lu pe degli Scorpio Direct, o la big band del caposcuola Nemours Jean-Baptiste nella trascinante Ti Carole. Roba autentica, vintage exotica che trasuda vita e dolcezza dalle notti anni sessanta/settanta di Port-au-Prince, in Haiti direct, doppia raccolta della pregiata ditta Strut!, di jazz da sala da ballo mutuato (via merengue) nello stile compas direct, corretto dalle voci dei twoubadou (o troubadour, i locali proto-rapper): un mondo perduto di percussioni, sax impertinenti, chitarrine di latta e voci gasatelle della swinging Haiti.

2. Matt Elliott, Zugzwang

Only myocardial infarction can break your heart, l’album, è stato uno dei strappacuore dell’inverno: grandi lugubri ballate sulla rigenerazione, una voce da far vibrare i timpani anche sulle cuffiette più scarse (su registri limitrofi al principato di Leonard Cohen), una canzone di 17 minuti sul diritto di piangere, chitarre acustiche a cascata. Strano percorso per un bristoliano che si è fatto conoscere con le manovre elettroniche nel buio dei club come Third Eye Foundation. Ma il suo album d’inverno è talmente bello da resistere all’arrivo degli uccellini.

3. gaLoni, Il migliore dei cecchini

“Ti ricordi mi aiutavi a fare i compiti / dell’amore conoscevo solo i miei testicoli / poi ho trovato i tuoi valori nelle mie analisi”. Uno reimmerge la zucca nel secchio dell’attualità e trova un altro alt-cantautore italiano da adottare. L’album è Troppo bassi per i podi, l’autore è Emanuele Galoni, spalleggiato nel glockenspiel e nelle cose musicali da Emanuele Colandrea degli Eva mon amour. Il suono giova alla causa di una vena vera da narratore di provincia, occhi aperti sulle primavere arabe del mondo, ma capace di soffrire con misura.

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