1. Nina Madù e le Reliquie Commestibili, Mi piaccio
Due ceffi zitti che emettono sonorità elettrificate e una teatrante cantante spuntata dalla Conca dei Navigli milanese, dove si può essere un po’ Nina Hagen e un po’ Giuni Russo, un po’ Cccp e un poco storie tese, raccontando storie che tendono a diventare abbozzi di canzone in corso d’opera, un cantiere Expo e una boutique all’Isola, una serata social e una performance su un tram o su un iceberrrrrg (detto in tono brechtiano da circuito off e amico con l’impermeabile). Sarà interessante pedinare questa madonnina dadaista.
2. Zondini et les Monochromes, Vecchia Romagna
L’approccio diverso alle solite cose: prendere una ballata che crea l’atmosfera e parlare della regione e del brandy, rileggersi Calvino e titolare Ippodromo palindromo; oppure a parlare al Telefono senza feeling. Mark Zonda ha una vena così, un amore per le aperture melodiche alla Coldplay e anche per il “conscious uncoupling” delle liriche dalla banalità. Riveste di richiami le sue Chansons invisibles; poco di quello che fa rimane molto impresso; ma ha un suo modo di servire pop intelligente come un Earl Grey delle cinque.
3. Francesco Vannini feat. Fabio Rizzo, Bomboletta spray
Questo è blues dal gas al peperoncino, immediato e poco urticante, con sana vena di protesta anti-intolleranza, e c’è una fuzz guitar e il qualcosa di acustico sotto e due tamburini, “voce armoniche kazoo e stronzate”, tutto del cantautore panormitano che qualche anno fa copriva il Liga e Pieropelù e ora fa Dinecessitàvirtù, titolo di Ep, progetto e probabilmente anche ethos. Sono canzoni circolate, Canned Heat girato per radio per tuguri per sale e serate comevieneviene; si sente la vita randagia del musicista e questo piace.
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