1. Nicolò Carnesi, Numeri
Conti che non tornano, risultati che non contano, contrapposizioni in amore descritte da un cantautronic che a volte sembra girare su un sistema operativo di malinconia elegante tipo quelli degli Air o dell’ultimo Spike Jonze. “Innamoriamoci senza toccarci” dice in un’altra canzone del suo ultimo nervoso Ho una galassia nell’armadio. Che forse più che un album è un aggiornamento del cantautorato italiano al mood di adesso: connessi e alla deriva in un’apocalisse integrata e cross-platform, Smiths e Max-Planck-Institut, new wave inglese e milza palermitana.
2. I Monaci del Surf, Yakety sax
Era bello il mondo quando era stupido, le comiche di Benny Hill erano Stanlio e Ollio aggiornati alla terza pagina dei tabloid britannici, torta in faccia panna e puritanesimo, pacche in testa bonarie ai pelati e ai parrucconi. Un mondo buffo e pulp cui i Monaci del Surf, pattuglia acrobatica di wrestler schitarranti delle nostalgie pop, rendono tributo nel loro energico e quasi virtuoso tomo II; ai gran mogol del cool piacerà di più la versione di Teach me tiger con la cantante Levante, o i 45 minuti ad absurdum della ginopaolesca Senza fine.
3. En?gma, Rabbia random
“Dicono di me che sono un po’ poeta / in effetti tratto sta merda come la creta”. Ma sì proprio per questo, per la rabbia random, ma calcolata e calibrata col bilancino delle sillabe, si ritorna al rap qua e là, ci s’innerva di sangue e proteine per noi snervarsi con rinnovata energia. Il rapper olbiese con un album che titola Foga, l’incazzosità pura che percola fino al nome dell’etichetta Machete Records, così quando si sente scorrere il flow si può raffigurare mentalmente Danny Trejo che si sloga le gengive sui flussi d’incoscienza permalosa, il rumore hip del malumore hop.
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