1. Med Free Orchestra, Dondolo il mondo
Tra la provincia di Patchanka, il principato di Manuchao e il governatorato di Goranbregovic, un angolo di mondo in cui si balla balcanico equo e solidale, ospitati in centri sociali a forma di spiagge salentine, tutto è multietnico libertario e alternativo. In un’utopia di giustizia sociale, quinoa e afrobeat questa formazione testaccina a due voci femminili è come una banda comunale. Il mélange di etnie e sonorità è servito con freschezza e convinzione, sicché, ascoltato il loro album BackGround, li si vedrebbe volentierissimo dal vivo.
2. Sus, Il campo aspirazioni
Da lasciare libero, e surrogare con fughe di sitar ed evasioni nello spleen: bisogna immaginarsi un Sisifo infelice e sfaticato, in riva al mare con i bermuda, una pila di tascabili e una pettinatura new wave da utente della poetica malinconica della band il cui acronimo sta per Succede Una Sega: un power trio post punk più un polistrumentista (che suona anche la sega). Registrato in un museo contadino pistoiese, l’album Tristi tropici oscilla con un certo gusto nelle scelte, dalla produzione di Fabio Magistrali alle illustrazioni di Aka B. Antropologia alternativa.
3. Melech Mechaya (con Jazzafari), Gente estranha
Se mood mediterraneo dev’essere, comunque, vale la pena di prendere un poco il largo e assaggiare il klezmer portoghese di questa band festaiola con i controplettri: un vortice di tradizioni ebraiche, fado, medioriente ed est europeo, Oi Va Voi, Madredeus e Ogni cosa è illuminata; e come accade solo in Portogallo (o su Topolino) c’è una Amelia che ammalia, oltre a clarini, violini pizzicati, lumi di candela e genuino piacere di scoprire tutto l’album Strange people, pensando che sì, la gente strana merita d’essere celebrata.
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