1. Merchandise, Little killer

Adesso che i Cure (li si vede sul blog di Giovanni Ansaldo) si dilettano a fare le vecchie glorie al quadrato con una cover di Hello goodbye, può venire nostalgia di quel cupo serioso pop rock britannico anni ottanta. La cura migliore è questa band ex post punk della Florida che ha appena sfornato After the end, un album a tratti epico nella vitalità in agrodolce dolore cosmico che emana la voce del cantante Carson Cox. Da tarda adolescenza partecipata come un rito doloroso, con i suoi mille momenti di frizione contro il filo spinato che la vita antepone al sogno.

2. The New Pornographers, Dancehall domine

All’altro capo dello spettro pop, quello giulivo e pieno di esplosioni armoniche e ritmiche che una volta veniva prodotto nel Brill building di New York, ecco le energie supersoniche del supergruppo canadese con Brill bruisers: tutto da ascoltare, a tratti a bocca spalancata, per una sua vertiginosa, furibonda allegria nel centrifugare trovate, citazioni, effetti elettronici, rullate e ritornelli in tutto il catalogo di ebbrezze che va da Abba a Zappa. Uno schianto di esibizionismo nichilista che centra il bersaglio dell’entertainment.

3. Marina Rei, Avessi artigli

Fa simpatia una post giannanannini che canta e suona la batteria, invita anche il papà (che ha suonato con Fabrizio De André e per Ennio Morricone), si affida artisticamente a Ragno Favero del Teatro degli Orrori, si ostina con i rapper e fa la cover di Annarella dei Cccp, sempre tra arte e artiglieria rock. Si apprezza questa tensione nel nuovo Pareidolia, il fenomeno per cui si scorgono nelle nuvole figure e volti familiari. E a tratti, tra alti bassi e batterie, si può riconoscere chi si vorrebbe essere, se si avesse artigli, e se si riuscisse a lasciarsi andare.

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