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Ragù di blues

1. Shilpa Ray, Pop song for euthanasia
Il blues più badass e gotico del secolo viene da questa indiana underground, cresciuta nel New Jersey a repressione e armonium, fuggiasca dark clandestina nelle cantine di New York, ruggente di rabbia; bastarda di Nick Cave e Amy Winehouse, tonitruante di lutti e lotte contro destini e ingranaggi. Non importano troppo i precedenti, le scorribande acerbe (Beat the Devil, Happy Hookers); ma chi va a nozze con lo straniante/viscerale/notturno difficilmente rimarrà immune ai brividi di Last year’s savage, il suo ultimo album, il primo da poetessa da scoprire.

2. Üstmamò, Hambone
Chitarre da degustazione stagionate sull’alto Appennino emiliano; ma non più da Ribelli della montagna, il canto partigiano che rispolverarono gli Üstmamò quando erano quasi famosi. Altri tempi: Mara Redeghieri ora insegna; Luca A. Rossi, è rimasto più isolato. Se non accompagna Giovanni Lindo Ferretti in tournée sta nel suo rifugio, gioca a briscola con le chitarre e canta blues in inglese; e i suoni escono grezzi come bresaola di cinghiale. L’album Duty free rockets è buon country blues casalingo, morbido, con quell’accattivante retrogusto al culatello.

3. The Cyborgs, Cyborg boy
Son sempre in giro con le loro maschere da saldatori, due romandroidi daft steampunk a grattugiare blues rétro futuribili, a smanettare come makers maniaci sulle basi di Muddy Waters, a fare i reboot di John Lee Hooker e i refresh di Screamin’ Jay Hawkins pure nel loro terzo album, Extreme boogie, e nel nuovo tour che parte da Bristol; simpatici Sisifi versione Mississippi, che sanno che non potranno mai avere quel tiro lì ma ci credono, ricominciano, come automi picchiano, raschiano, swingano fino all’alba, fino al delta, fino a esaurimento elettricità.

Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2015 a pagina 92 di Internazionale, con il titolo “Ragù di blues”. Compra questo numero | Abbonati

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