Appena uscito dall’anteprima di Django Unchained ho cominciato a pensare perché forse mi era sembrato meno “importante” di Bastardi senza gloria o di Kill Bill. Poi per fortuna ho smesso. È senz’altro meglio pensare ai motivi che rendono Django Unchained un film divertente e spettacolare, da non perdere.

Tra i motivi principali metterei senz’altro Leonardo DiCaprio. Ma ce ne sono anche altri: Christoph Waltz, Jamie Foxx, Samuel L. Jackson, le citazioni, i riferimenti, i colpi di genio (come il pezzo sui buchi per gli occhi nei cappucci bianchi di alcuni schiavisti vendicativi) e anche i messaggi contro l’assurdità del razzismo, della schiavitù o semplicemente della violenza, spediti attraverso momenti demenziali, grotteschi o drammatici.

Il west di Quentin Tarantino, per sua stessa ammissione molto vicino a quello di Sergio Corbucci (come ha scritto nell’articolo Violentissimo west, pubblicato sul numero 970 di Internazionale), è un luogo violento e assurdo. Non c’è spazio per l’epica di Sergio Leone né per gli eroi “puliti” alla Jimmy Stewart. C’è invece spazio per l’ironia di Christoph Waltz, per la cattiveria che rasenta la follia di Leonardo DiCaprio e anche per qualche sana coattata di Jamie Foxx (alcune da applauso).

Scrivendo del film viene voglia di rivederlo, per notare i dettagli che non ho notato, per ripassare i dialoghi e i monologhi brillanti, per riascoltare la colonna sonora che tiene insieme Morricone, Bacalov, Migliacci, Micalizzi e addirittura Elisa. Una curiosità. Quando partono i titoli di coda, a chiamare l’applauso del pubblico, parte il tema di Lo chiamavano Trinità…

Non è un errore né una svista né un’approssimazione. Invece è proprio tipico di Tarantino, un autore capace di prendere da altri senza essere un predatore, di recuperare e ridare smalto, brillando e facendo brillare.

Il film esce in sala il 17 gennaio.

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