Sono appena uscito dalla prima proiezione stampa della Berlinale. Ho visto The Grandmaster di Wong Kar-wai. È un filmone sulle arti marziali. Il regista è uno che ci sa fare. Ha una cifra profonda e si percepisce per tutte le due ore del film. Ma la prima impressione uscendo è di grande malinconia per un mondo che sbiadisce lentamente, su un retaggio che si perde. Le arti marziali sono intese come arti vere e proprie. Qualcuno può insegnarti, ma se non sei un artista non andrai lontano. E gli artisti sono diversi tra loro. Qualcuno invecchia, qualcun altro si brucia.
La colonna sonora, oserei dire morriconiana, mi ha fatto pensare a C’era una volta in America. E The Grandmaster condivide qualcos’altro con il film di Sergio Leone. Proprio questo senso di perdita, di malinconia, le stagioni della vita passano e qualcosa inevitabilmente si perde. Chi è capace di tenere insieme i pezzi, magari grazie al codice d’onore delle arti marziali, forse, sarà in grado di passare qualcosa ai posteri. Chi invece non ce la fa, si perde pure lui. La regia è magistrale, se vi piace il genere. Le scenografie, davvero notevoli, insieme ai costumi, aiutano a distinguere lo scorrere del tempo, visto che i personaggi non invecchiano.
Mi sono affacciato anche alla conferenza stampa di apertura, in cui, tradizionalmente viene presentata la giuria. C’era Tim Robbins e questo mi è bastato.
Sono ancora un po’ spaesato e devo capire cosa succede adesso. Vado a farmi un giro nelle impressionanti strutture dell’area (siamo intorno a Potsdamer Platz). Berlino è come me la ricordavo. Un affascinante cantiere permanente.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it