Il cast di Birdman a Venezia, il 27 agosto 2014. Da sinistra: Amy Ryan, Edward Norton, Emma Stone, Alejandro González Iñárritu e Andrea Riseborough. (Tony Gentile, Reuters/Contrasto)
Sono già stato alla Mostra del cinema, ma è stato talmente tanto tempo fa che sono di nuovo un rookie. A chi mi chiede informazioni non so che dire e per andare alla proiezione delle nove mi sono svegliato decisamente troppo presto.
Ho visto il film che ha aperto il festival, Birdman (The unexpected virtue of ignorance) di Alejandro González Iñárritu. Come ci si poteva immaginare è un film abbastanza complesso. La sorpresa è che è divertente. Siamo in un terreno molto “meta”: un attore, che all’apice della sua carriera vestiva i panni di un supereroe piumato, vuole rilanciarsi con uno spettacolo a Broadway, ispirato ai racconti di Carver. Lo interpreta Michael Keaton, il Batman [di Tim Burton][1] (regista a cui forse Iñárritu si ispira per la capigliatura), il capostipite della nuova ondata di film sugli eroi dei fumetti (attendiamo con ansia l’adattamento di [Kamandi][2], se già non è previsto).
I personaggi di Birdman (Keaton, Edward Norton, Zack Galifianakis, Emma Stone, Naomi Watts, Andrea Riseborough, Amy Ryan e Lindsay Duncan) interagiscono dietro le quinte dello spettacolo in una serie di duetti, alcuni piuttosto gustosi, incastrati in un lungo piano sequenza (non reale, per fortuna). Il film è pieno di riferimenti al mondo del cinema, del teatro e addirittura della stampa, che però alla fine sembrano più strizzate d’occhio che non critiche al mondo dei blockbuster. Non ci si annoia. Ma forse gli amanti delle mattonate à la Iñárritu ci resteranno male.
The president di Mohsen Makhmalbaf inaugura invece la sezione Orizzonti. Il nonno gioca con il nipote (che lo chiama “sua maestà”) ad accendere e spegnere le luci della capitale dello “stato caucasico di fantasia” su cui regna. Ma a un certo punto le luci della città non si riaccendono e in breve nonno e nipotino si ritrovano fuori dal loro palazzo dorato, in un’avventura sulle strade disastrate dello stato caucasico (di fantasia).
Ancora mi stavo chiedendo quale potesse essere il regime che ha ispirato il regista iraniano e se la trama potesse sembrare credibile (comunque più di The tyrant), che all’improvviso mi sono ritrovato a piangere pensando alle cose disumane che succedono in giro. Il messaggio di Makhmalbaf potrà sembrare un po’ facilmente universale e buonista, ma The president, grazie a una semplice chitarra, ha il giusto tocco lirico senza arrivare alla classica abbuffata di musica balcanica, che come dice Elio…
Piero Zardo lavora a Internazionale ed è editor delle pagine culturali.
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