Mark Ruffalo si trasforma in Rob Bilott, un avvocato di Cincinnati (vivo e vegeto) che difendeva le grandi industrie chimiche e poi, quasi per caso, è diventato l’uomo che ha svelato un’enorme falla nel sistema e nella narrazione del luminoso cuore industriale americano. Quel cuore industriale capace di darci prodotti perfetti, innovativi, risolutivi. E pazienza se il materiale di cui sono fatti “nuoce gravemente alla salute”.
Apparentemente Cattive acque di Todd Haynes è un classico legal drama, con un avvocato/crociato/vendicatore solitario che si scaglia contro la DuPont, colosso della chimica (86 miliardi di dollari di fatturato nel 2018). Ma conoscendo Todd Haynes sappiamo che possiamo aspettarci altro. Ed è così. In tanti dettagli di Cattive acque si riconosce la mano dell’autore di Safe e di Lontano dal paradiso, capace di guardare le cose da un punto di vista originale, fuori dalle tracce della narrazione classica hollywoodiana, concretamente illuminante. Nel cast anche una convincente Anne Hathaway e un Tim Robbins che è sempre al posto giusto nel momento giusto.
Maria (Chiara Mastroianni) è sposata da tanti anni con Richard (Benjamin Biolay) e lo tradisce regolarmente con dei ragazzi molto più giovani. Quando Richard lo scopre ci rimane molto male, litigano e Maria se ne va di casa, senza allontanarsi troppo. Di fatto attraversa la strada e si installa in una stanza di hotel, che poi è L’hotel degli amori smarriti, da cui può osservare comodamente l’appartamento coniugale. Là però trova il Richard venticinquenne che ha sposato e che l’accompagnerà nella sua osservazione.
Comincia così una lunga, surreale nottata in cui Maria riconsidera la vita, sua e di Richard, mentre il regista del film, Christophe Honoré, ci invita a salire su una giostra di citazioni, filmiche e musicali, che non possono lasciare indifferente il francese che è in ognuno di noi. Chiara Mastroianni mette in scena una notevole carica erotica, mentre la sua controparte Benjamin Biolay fa venire voglia di vedere cosa si prova ad andare in giro in bermuda, mocassini e calzettoni. Nel cast anche Camille Cottin, Vincent Lacoste e nientemeno che Carole Bouquet.
Criminali come noi, di Sebastián Borensztein, tratto dal romanzo La noche de la Usina, di Eduardo Sacheri, è un racconto legato alla tremenda crisi economica che colpì l’Argentina alla fine del 2001. Ricardo Darín interpreta Fermín, ex calciatore che, alla vigilia della crisi, vuole fare qualcosa per rivitalizzare il paesino sperduto in cui vive. Convince così alcuni suoi compaesani a investire quello che hanno per comprare dei silos abbandonati. Arriva la crisi e tutto sembra perduto. Ma poi Fermín e i suoi soci scoprono di essere stati truffati da un bancario e da un avvocato. Decidono quindi di organizzare un “colpo” per riprendersi il maltolto.
Il film, vincitore del premio Goya come miglior film ispanoamericano, al di là dello spessore enorme di Ricardo Darín e dell’intelligenza di Borensztein ha il merito di raccontare un episodio epocale come la crisi argentina del 2001 attraverso una bella storia, con grandi personaggi e una grande carica di umanità. Ma anche di avvicinare, di rendere concreto, un paese e una realtà che di solito immaginiamo molto più lontani di quello che sono.
Riguardo all’ultimo adattamento del classico di Jack London, Il richiamo della foresta, di Chris Sanders, mi ha divertito molto la definizione di dad movie, “sfuggente sottogenere” cinematografico, data da Maureen Lee Lenker su Entertainment Weekly: “È più una sensazione che un organico insieme di luoghi comuni, ma di solito il dad movie si concentra su qualcosa che gli stereotipi vogliono maschile (come lo sport o in generale le attività all’aria aperta) inserito in una narrazione emotivamente altisonante e con un protagonista burbero ma affascinante. L’ultimo adattamento del classico di Jack London del 1903, con Harrison Ford immerso nella natura più selvaggia, si può considerare il dad movie definitivo”.
Leggendo il cast del film si scopre che l’eroe canino Buck è interpretato in realtà da un essere umano, Terry Notary. Questo incredibile performer, che qualcuno ricorderà in The square di Ruben Östlund, purtroppo non fa parte del nutrito cast felino di Cats. A fare le fusa, grattarsi, agitare la coda, ballare e cantare come gatti nel film di Tom Hooper, tratto dal musical di Andrew Lloyd Webber, ci sono Judi Dench, Idris Elba, Jennifer Hudson, Taylor Swift e tanti altri. Il film non è piaciuto alla critica e al pubblico statunitensi, forse troppo affezionati al musical che oltreoceano è molto più popolare che da noi. Ma forse invece semplicemente perché è un film concepito male e riuscito peggio.
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