Paul Dano è un attore eclettico, capace di dare volto e anima a personaggi molto diversi, dal Bezuchov di Guerra e pace a Brian Wilson di Love & mercy, in produzioni che abbracciano tutto lo spettro del cinema statunitense, da Little Miss Sunshine a Il petroliere. Ed è anche un attore coerente perché nelle sue interpretazioni, perfino di personaggi sopra righe, riesce sempre a far emergere aspetti umani che raggiungono tutti. Sicuramente il suo Enigmista nel Batman di Matt Reeves (quello con Robert Pattinson) sarà molto diverso da quello portato sullo schermo da Jim Carrey in Batman forever. Dano sarà anche protagonista del remake statunitense del film danese The guilty (disponibile su PrimeVideo), che sarà diretto da Antoine Fuqua.

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Nel 2018 Dano ha anche debuttato alla regia con Wildlife (adesso disponibile su Netflix), piccolo dramma familiare scritto insieme alla compagna Zoe Kazan, presentato al Sundance film festival e vincitore del premio come miglior film al festival di Torino. Wildlife è ambientato nel 1960, in una piccola cittadina del Montana dove Jerry (Jake Gyllenhaal) e Jeanette (Carey Mulligan) si sono appena trasferiti insieme al figlio quattordicenne Joe (Ed Oxenbould). Jerry non riesce a tenersi l’ennesimo posto di lavoro e decide allora di partire con i volontari che combattono contro gli incendi che ogni anno flagellano le foreste poco lontane dalla città. Jeanette, disposta anche a ricominciare a lavorare per mantenere unito il nucleo familiare, non la prende per niente bene. Joe cerca di fare la sua parte ma è costretto a vedere da vicino i genitori che prendono rotte divergenti.

Il piccolo nucleo familiare si sfalda e ogni spettatore può decidere con chi immedesimarsi, da che parte stare, quale frustrazione preferire. La storia ci viene raccontata dal punto di vista di Joe e, anche se i genitori non gli risparmiano nulla, è facile capire perché gli autori puntino su di lui in cerca di un punto fermo. In tutto questo c’è posto per un piccolo ma significativo ruolo di Bill Camp, attore che non tradisce mai lo spettatore. Dano, coerente nelle sue scelte anche come regista, non alza mai i toni ma riesce comunque a toccarci. Perfetti Carey Mulligan, che sembra destinata sempre e comunque all’infelicità, e Jake Gyllenhaal, cane che preferisce autobastonarsi che mordere.

Al di là delle implicazioni sul b-side del sogno americano e di qualcosina sulla determinazione con cui negli Stati Uniti si cerca di imporre uno schema rigido anche al cospetto della natura più ostile, Wildlife mi ha fatto venire una grande nostalgia per i festival: Torino ovviamente, ma per tutti i festival cinematografici, occasioni delle quali chi ama il cinema dovrebbe approfittare il più possibile. Nonostante le zone rosse, la macchina delle manifestazioni culturali è andata avanti tra mille difficoltà. Domenica, per esempio, si chiude la trentesima edizione del Cinema africano, d’Asia e America Latina di Milano, che si svolge completamente online. Come in molti altri festival, quest’anno ci si può abbonare e assistere ai film in rete, anche lontano da Milano. Fantastico, democratico. Dopodiché si perde quell’unità di luogo e quel tempo compresso e sospeso che è una caratteristica delle manifestazioni di questo genere, che sono cinema, certo, ma anche comunità.

Wildlife
Di Paul Dano. Con Carey Mulligan, Jake Gyllenhaal, Ed Oxenbould, Bill Camp. Stati Uniti 2018, 105’. Su Netflix.

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