E così Nomadland di Chloé Zhao ha vinto anche il premio Oscar, anzi ne ha vinti tre: film, regia e miglior attrice protagonista, l’inimitabile Frances McDormand. La cerimonia degli Academy awards, spogliata da molte componenti “spettacolari”, non sarebbe stata neanche male (bella la location nella Central station di Los Angeles) se non fosse stato per l’esagerazione di intermezzi pubblicitari, alcuni dei quali, fortunatamente per il pubblico italiano, riempiti da Denise Negri, Gianni Canova e Francesco Castelnuovo che, in diretta dagli studi di Sky, con un pizzico di vis polemica verso l’Academy ci hanno aiutato a rimanere svegli.
Siamo contenti per Chloé Zhao, rappresentante di un nuovo cinema, che può anche nascere come indie o autoriale ma non teme la sfida delle major. Aspettiamo il suo film Marvel, The eternals, previsto per l’autunno. Che dire di Nomadland? Fin dal Leone d’oro a Venezia la sensazione è stata di un film “predestinato”: vittoria anche a Toronto, due Golden globe, una sfilza di premi impressionante e infine anche gli Oscar.
Fern è una donna di mezz’età che dopo la morte del marito ha deciso di vivere da nomade, aderendo a una grande tradizione americana di persone che scelgono di non avere una dimora fissa. Non homeless, ma houseless, spiega la protagonista all’inizio del film. Così Fern viaggia nel suo furgone da un parcheggio in mezzo al nulla a un altro, da un lavoro saltuario o stagionale all’altro, da un raduno di nomadi a un posto immerso nella natura selvaggia. Senza volergli attribuire chissà quale critica del sistema, il film di Chloé Zhao, con una forte componente documentaristica (molti attori non sono professionisti e interpretano loro stessi), osserva da vicino un fenomeno molto radicato e diffuso in alcune zone degli Stati Uniti. E mentre Zhao, con una cifra chiara, ci fornisce uno sguardo d’insieme, a Frances McDormand (forse insostituibile in un ruolo del genere) spetta il compito di sottolineare i passaggi giusti per capire la varia umanità che popola il film.
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