Nina (Barbara Sukowa) e Madeleine (Martine Chevallier) vivono una di fronte all’altra ma sono molto più che vicine di casa. La loro è una relazione sentimentale appassionata e complice. Madeleine però non ha il coraggio di confessare ai figli che da anni è innamorata di Nina. La loro discrezione è qualcosa di simile alla clandestinità e quando un evento imprevisto e drammatico rompe lo status quo, la loro storia d’amore rischia di finire male.
Nel suo film d’esordio Due, Filippo Meneghetti, regista padovano che vive da anni in Francia, è bravissimo a mostrare la passione tra due donne non più giovani. E già questo proietta lo spettatore dentro la storia. Possiamo non condividere alcune cose – Madeleine dovrebbe avere il coraggio di confessare la sua relazione con Nina, almeno alla figlia; le due donne sognano di scappare insieme e andare a vivere a Roma (davvero, siete sicure?) – ma non possiamo mettere in dubbio il loro amore. Meneghetti è bravissimo anche a puntare (come spiega nella sua Anatomia di una scena) sugli strumenti del thriller per evitare i tranelli del melodramma. E le interpreti femminili del suo film lo sostengono fino in fondo. Non solo Martine Chevallier e Barbara Sukowa, tutte due splendide, ognuna a modo suo, ma anche Léa Drucker, che interpreta la figlia di Madeleine, ha un ruolo chiave come punto di vista “esterno” alla coppia, su cui non è difficile sintonizzarsi.
La riapertura delle sale ha mostrato una maggiore reattività tra i distributori più piccoli – che forse sono anche quelli che hanno più sofferto della lunga chiusura – rispetto ai mastodonti che di solito dominano le uscite settimanali. Prendendo come punto di riferimento le grandi città, c’è una discreta scelta di film che si possono considerare “d’autore”, mentre ancora mancano all’appello pellicole di grande richiamo.
…e poi c’è Rifkin’s festival, il nuovo film di Woody Allen. Mort Rifkin (Wallace Shawn), un critico cinematografico newyorchese un po’ frustrato, accompagna la moglie Sue (Gina Gershon) al festival di San Sebastián, il più importante festival spagnolo. Sue si occupa delle pubbliche relazioni dello stimatissimo regista francese Philippe (Louis Garrel, che per l’occasione prende in prestito il nome del suo stimato padre) e tra loro due sembra esserci un’intesa destinata a valicare i confini professionali. Rifkin, convinto di essere sull’orlo dell’infarto, incontra una giovane e affascinante dottoressa spagnola (Elena Anaya) e se ne invaghisce. Nel frattempo comincia a ragionare sulle sue reali necessità e sulle sue frustrazioni.
In linea con gli ultimi esemplari prodotti dalla macchina da cinema che è Woody Allen, Rifkin’s festival ci riserva alcuni piccoli piaceri, a partire dall’ambientazione a margine di un grande festival internazionale di cinema (dove tra l’altro il film è stato presentato nel settembre del 2020). Non so ancora se la relativa pacatezza generale del film ha più a che fare con l’età dell’autore, con la mia o con il fatto che uno dei protagonisti sia il cinema stesso. Sicuramente Allen sembra meno “spietato” del solito e il suo ennesimo alter ego alla fine appare quasi sereno. In ogni caso il film sarebbe molto meno interessante se non ci fossero i sogni del suo protagonista, che prendono forma di piccoli omaggi-parodia dedicati a grandi maestri del passato, nomi che hanno sempre avuto posto nella grande enciclopedia alleniana. Non dico di più per non rovinare la sorpresa, ma Woody Allen e Vittorio Storaro si devono essere proprio divertiti a realizzarli.
Due
Di Filippo Meneghetti. Con Martine Chevallier, Barbara Sukowa, Léa Drucker. Francia/Belgio/Lussemburgo 2019, 99’. In sala.
Rifkin’s festival
Di Woody Allen. Con Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López. Spagna/Stati Uniti/Italia 2020, 88’. In sala
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