Prima di vederlo, l’aggettivo che ho sentito e letto di più riferito a Dune è stato: “elegante”. Mi è venuto in mente il dialogo tra Billy Crystal e Bruno Kirby in Harry ti presento Sally sul fatto che se dici che una ragazza ha personalità significa che non è attraente. Se tutti dicono che Dune è “elegante” magari vuol dire che è non è bello. Ma la versione di Denis Villeneuve del classico di fantascienza di Frank Herbert, già portato sullo schermo nel 1984 da David Lynch e Dino De Laurentiis (con risultati inquietanti), non è solo “elegante”.
La storia è nota. Arrakis è un pianeta desertico ricco di una sostanza, chiamata “la spezia”, fondamentale per mandare avanti l’Imperium, una sorta d’istituzione galattica di cui, per la verità, sappiamo poco. La casata degli Harkonnen ha brutalmente sfruttato per anni la concessione di raccolta della spezia. L’Imperium ha deciso che è ora di cambiare: la fiera e nobile casata degli Atreides sostituirà quella dei ricchissimi Harkonnen, cercando di sviluppare rapporti più equi con la popolazione locale. Ovviamente le cose non sono come sembrano e sorgono difficoltà.
Sfruttamento “coloniale” delle risorse di qualcun altro, il demone del profitto, la ricerca di un maggior equilibrio con l’ambiente, integrazione, intrighi, disegni misteriosi, corruzione, ricatti. Ci sono degli spunti di attualità e c’è il ricorso a soluzioni che non passano mai di moda come profezie, l’arrivo del messia e, chissà, il famoso quinto elemento che tiene unito l’universo (quindi l’amore, che però qui è solo suggerito). Niente di rivoluzionario.
Però: regia netta, ottimo cast, scene che tendono al grandioso e costumi fantastici e (forse una delle cose che ho preferito) una sceneggiatura che si prende i suoi tempi per dare il giusto spessore alla narrazione, senza tuttavia mai perdere la presa sulla vicenda. Anche durante le scene di battaglia non ci si dimentica dell’intreccio e il tutto è particolarmente ben equilibrato. Insomma il film è fatto bene, ma chissà se convincerà il grande pubblico, quello in cerca di sportellate continue, di azione senza pause.
Forse con questo dubbio in testa autori e produttori hanno cercato di non correre troppi rischi. L’esempio più lampante è il cast colossale, a partire da Timothée Chalamet, che sicuramente attira tanti fan e nel complesso funziona, a Oscar Isaac, sempre sempre sempre convincente, per finire con Zendaya che, per ora, rimane più una visione che un personaggio vero e proprio. Piace anche Rebecca Ferguson, i cui momenti di spaesamento servono l’ambiguità di cui il suo personaggio è portatore sano. Tutto il cast è centrato.
Probabilmente, almeno in parte, anche la scelta di dividere la storia in due parti (e al momento non è dato sapere quando uscirà la seconda) è dettata dalla volontà di limitare i danni nel caso la risposta del pubblico non sia quella sperata. Oggi le leggi del mercato cinematografico spingerebbero a dividere in due anche il Riccardo III di Shakespeare, ma non voglio pensare di non poter vedere Dune – Part two. Quindi tutti al cinema.
Dune: Part one
Di Denis Villeneuve. Con Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Zendaya, Jason Momoa, Josh Brolin, Dave Bautista, Javier Bardem, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling. Canada/Stati Uniti 2021, 155’. In sala
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