È difficile parlare bene di Dogman, l’ultimo film di Luc Besson presentato in concorso alla mostra del cinema di Venezia. Non tanto per le ombre che circondano il regista e produttore francese, a cui se ne aggiunge sempre qualcuna ogni volta che, quando tutti ormai lo danno per sconfitto/finito/scomparso, rispunta fuori in qualche modo. Lascio a ciascuno di voi decidere se si tratta di una fenice o di una muffa.

La polizia del New Jersey ferma uno strano tipo travestito da donna, paraplegico, ferito, alla guida di un camion con il retro pieno di cani. Mentre le autorità cercano di capire cosa fare di lui, Douglas si confessa con una psicologa. Attraverso dei flashback scopriamo i suoi traumi infantili che l’hanno costretto sulla sedia a rotelle e che l’hanno reso capace di comunicare (non è chiarissimo come) con i cani.

I film della settimana, scelti da Internazionale
Da Dogman di Luc Besson a Normale di Olivier Babinet. Le recensioni della stampa straniera.
 

Grazie ai suoi amici a quattro zampe Douglas è diventato una specie di Robin Hood di quartiere la cui unica attività sociale è esibirsi in un cabaret di drag queen dove reinterpreta icone del novecento (spoiler alert: Edith Piaf, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe).

È difficile parlare bene di Dogman perché è un pasticcio in cui le cose più interessanti non sono particolarmente originali. E anzi, forse l’unica originalità del film è nell’accumulazione. In generale poi sembra evidente il tentativo di Besson di mostrarsi in grado di parlare a un pubblico nuovo e più contemporaneo. Insomma di riabilitarsi, come scrive L’Obs. Potente l’interpretazione di Caleb Landry Jones che però ricorda da vicino almeno due Joker recenti. Divertente il ricorso ai cani, ma anche lì niente di davvero sorprendente.

Questo testo è tratto dalla newsletter Schermi.

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