Ora è la Siria il paese cruciale del mondo arabo, quello da tener d’occhio dopo i cambi di regime in Tunisia ed Egitto e dopo le novità in Yemen e Libia. Il regime siriano, guidato da Bashar al Assad, è oggi seriamente minacciato da forze potenti, dentro e fuori del paese. La sua politica attuale – repressione delle proteste e promesse di riforme minime – gli ha fatto perdere credibilità agli occhi dei cittadini. La sua caduta non è imminente, ma è una concreta possibilità.
Le prossime settimane saranno decisive per Assad: nelle altre ribellioni del mondo arabo il momento critico per la caduta o la tenuta dei regimi è arrivato dopo tre-sei settimane di proteste, e la Siria è ormai giunta alla quarta. Se il regime arabo laico e nazionalista, dominato da Assad e dal partito Baath, andrà in pezzi o sopravviverà per qualche anno, dipenderà dalle risposte che darà nell’immediato futuro.
Assad dovrebbe preoccuparsi. Da marzo il numero e le dimensioni delle manifestazioni di piazza sono aumentati costantemente, trasformandosi in una rivolta nazionale. Le rivendicazioni dei manifestanti sono diventate più impegnative: le iniziali richieste di riforme e di provvedimenti contro la corruzione hanno ceduto il passo ad aperti inviti a rovesciare il regime e a mettere sotto processo l’élite al potere.
In queste ore si distruggono ritratti e statue del presidente e del suo predecessore e si assaltano edifici governativi. Ma soprattutto è aumentato il numero dei manifestanti che chiedono di tenere a freno i servizi di sicurezza: è un segnale importante del fatto che il popolo sta smettendo di temerli, e questo è sempre un campanello d’allarme per sistemi di potere autoritari come quello siriano.
Molti esponenti di spicco delle proteste e i gruppi di difesa dei diritti umani stanno dando vita a un coordinamento nel tentativo di formare un movimento unitario che avanzi al regime richieste coordinate, dando voce alle rivendicazioni diffuse tra i cittadini. Sparare sui manifestanti non basta più a fermarli, anzi ogni volta contribuisce a rendere più affollate le dimostrazioni nei giorni seguenti.
La grande sfida
Il problema di Assad è che i siriani non fermano la loro sfida popolare e aperta al regime, non si accontentano delle sue promesse e non si piegano di fronte alla repressione. Gli elementi centrali del regime che Bashar al Assad, e suo padre Hafez prima di lui, gestiscono da più di quarant’anni oggi sono messi tutti in discussione. Mi riferisco alla famiglia Assad, al partito baathista, alla burocrazia e ai numerosi servizi di sicurezza, che insieme formano un sistema di potere a strati ma integrato, che ha nel presidente il centro di gravità e il coordinatore supremo.
È improbabile che i servizi di sicurezza siriani seguano il modello tunisino o egiziano, abbandonando il presidente alla deriva e lasciando che sia cacciato mentre loro restano al proprio posto. In Siria il sistema o si riafferma compatto e mantiene il controllo – con o senza riforme reali – o cambia da cima a fondo.
Il governo Assad e la struttura di potere da lui guidata hanno alcune carte da giocare. Le due più significative sono queste: 1) la maggioranza dei siriani, non volendo rischiare il caos interno o una guerra civile (come in Libano, in Iraq, nello Yemen o in Somalia), potrebbe scegliere di tenersi il sistema guidato da Assad, che ha portato stabilità senza democrazia; 2) qualsiasi cambiamento di regime a Damasco avrebbe enormi ripercussioni in tutta la regione e non solo, considerati i legami strutturali o i rapporti della Siria con tutti i principali conflitti e protagonisti, in particolare con il Libano ed Hezbollah, con l’Iraq, con l’Iran, con la Turchia, con Israele, con la Palestina e Hamas, con gli Stati Uniti e con l’Arabia Saudita. Il rovesciamento di Assad innescherebbe ripercussioni significative a catena e di lunga durata nell’ambito dei rapporti arabo-israeliani, arabo-iraniani e arabo-occidentali. E di vincitori e di perdenti ce ne sarebbero da una parte e dall’altra.
Secondo alcuni, questo rende il regime di Assad l’equivalente mediorientale di quelle banche che, durante la crisi economica statunitense di tre anni fa, erano troppo grandi per fallire, perché l’effetto-domino sarebbe stato spaventoso. Lo spettro di una Siria sprofondata nel caos e in un conflitto tra fazioni che potrebbe estendersi ad altre regioni del Medio Oriente spaventa molti. Eppure, con le loro proteste crescenti, molti siriani ci fanno capire che considerano ancor più spaventosa la realtà attuale: la mancanza di democrazia, la corruzione diffusa, gli abusi dei diritti umani, il partito unico, l’economia stagnante, lo strapotere dei servizi segreti e la disoccupazione giovanile.
Nelle prossime settimane in Siria l’epica battaglia tra la sicurezza del regime e i diritti dei cittadini, che caratterizza il mondo arabo da tre lunghe e stanche generazioni, entrerà nella sua fase più importante. E le tendenze in atto nella regione indicano che quando i cittadini rivendicano i loro diritti collettivamente e in modo pacifico, è impossibile negarglieli.
*Traduzione di Marina Astrologo.
Internazionale, numero 895, 29 aprile 2011*
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