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Diciamo chiaramente da dove viene la violenza

La polizia fa scendere da un’auto un gruppo di donne durante una protesta a Minneapolis, 31 maggio 2020. (John Minchillo, Ap/LaPresse)

La parola “violenza” è usata spesso per descrivere quello che sta succedendo nelle città statunitensi. Quindi è importante dire chiaramente chi sono i violenti e cos’è la violenza. Tra distruggere dei beni materiali e ferire degli esseri umani c’è una grande differenza e nel corso dei disordini scoppiati negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd, tutta la violenza nei confronti degli esseri umani, con alcune eccezioni, è venuta dalla polizia. Quello che più colpisce è che gli agenti sembrano dare per scontata la propria impunità. Non sono al servizio della popolazione, ma di loro stessi. Nonostante questo, quasi tutti hanno condannato i danni materiali. È sconcertante che le persone siano più colpite dai vetri rotti che dagli omicidi alla luce del sole. O meglio, che sembrino credere che le basi su cui deve poggiare la società siano i rapporti di proprietà e non i diritti umani.

La distinzione tra danni a esseri umani e danni a oggetti è fondamentale. Ma non è semplice da definire. Delle persone intrappolate in un edificio in fiamme sfondano le porte per uscire; un marito separato soggetto a un ordine restrittivo sfonda una porta per terrorizzare l’ex moglie. La stessa azione ha significati diversi a seconda delle situazioni. Martin Luther King definì le rivolte “la voce di chi non è ascoltato”. I danni materiali possono essere il grido di dolore di persone che per secoli hanno provato tutte le strade alternative. Quando si ribellano i neri, colpiti dalla brutalità della polizia e da quattro secoli di povertà, disumanizzazione e privazione di diritti, somigliano alle persone intrappolate in una casa in fiamme che sfondano la porta per uscire.

Non è facile distinguere tra i sostenitori bianchi delle rivolte dei neri e i bianchi che agiscono in stile black bloc. Questi ultimi sono sostenitori dell’antiautoritarismo che si oppongono alla brutalità della polizia e non vanno confusi con i sostenitori dell’autoritarismo di destra che potrebbero sfruttare i disordini per creare più caos. Sostenitori e oppositori dell’autoritarismo hanno spesso in comune l’entusiasmo per la violenza e la convinzione che sia rivoluzionaria. Ma quasi tutte le rivoluzioni recenti, in realtà, sono state nonviolente.

I danni materiali non giustificano la violenza contro bambini, passanti, giornalisti, manifestanti

È importante inoltre sottolineare che i danni materiali possono danneggiare le stesse comunità di cui le rivolte dovrebbero farsi portavoce. La perdita di piccoli negozi gestiti da persone appartenenti alle minoranze e dei centri d’aggregazione impoverisce ulteriormente le comunità. Ho letto storie di abitanti di Minneapolis che provavano a domare gli incendi e mentre lo facevano venivano attaccati dalla polizia.

Una decina di anni fa ho scoperto l’espressione “panico delle élite”. Descrive il modo in cui le autorità rispondono durante un’emergenza: non difendono la popolazione, ma cercano di controllarla, proteggendo il loro potere. Sembra che negli Stati Uniti la polizia stia facendo proprio questo, e anche di peggio, dando prova della stessa impunità su cui sembravano fare affidamento gli assassini di George Floyd.

Una delle cose più sconvolgenti è stata la violenza contro i giornalisti. La fotoreporter Linda Tirao ha perso la vista da un occhio dopo essere stata colpita dai proiettili di gomma della polizia. Questo è un attacco alla stampa libera.

Il racconto delle violenze degli attivisti è spesso usato per giustificare quelle della polizia, ma i danni materiali non giustificano la violenza contro bambini, passanti, giornalisti, manifestanti. È la polizia che dovrebbe aver perso legittimità dopo i molti omicidi di cui si è resa responsabile: Eric Garner, Walter Scott, Breonna Taylor, George Floyd. O dopo la violenza usata contro i manifestanti il 30 maggio. Forse la polizia non ha bisogno di legittimità, solo di potere.

C’è un altro genere di violenza di cui bisogna parlare: quella strutturale. Mi riferisco al modo in cui le istituzioni opprimono un gruppo di persone. Nel caso dei neri statunitensi, con lo schiavismo, la segregazione razziale e i linciaggi, la privazione del diritto di voto dall’ottocento a oggi, i mutui subprime, la discriminazione nell’alloggio, nell’istruzione, nell’impiego eccetera. In questo momento le forme di violenza strutturale più significative sono lo stress cronico, il mancato accesso alle cure mediche e le condizioni di lavoro che hanno portato i neri a morire di covid-19 in proporzioni molto più alte rispetto ad altri gruppi etnici.

L’autopsia citata nel mandato d’arresto contro l’uomo accusato dell’omicidio di Floyd suggerisce che la morte di quest’ultimo sia stata causata da ipertensione e da problemi cardiaci. In realtà è stata provocata dalla brutalità della polizia. I problemi di salute potrebbero semplicemente appartenere al contesto di violenza strutturale. La polizia è responsabile di questo stato di cose. Quando scende in strada con gas lacrimogeni e manganelli per reprimere le rivolte, non fa altro che annunciare chi è e cosa vuole: violenza al servizio della violenza.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1361 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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