Quando a qualcuno viene diagnosticato un tumore spesso la sua prima risposta è il terrore, la convinzione di non avere speranze. Per chi in questi anni non ha prestato la dovuta attenzione alla crisi climatica, le prove del fatto che siamo sull’orlo di una catastrofe potrebbero suscitare la stessa reazione. Ma chi ha superato un cancro (o è stato vicino a persone che l’hanno superato) sa che subito dopo arriva un’altra fase: valutare le possibili cure e, nella maggior parte dei casi, impegnarsi per seguirle. Da lì possono arrivare le buone notizie: sei stato accettato per una nuova e promettente terapia; il tuo corpo sta rispondendo bene; sei in remissione; ti senti più in salute; hai una buona prognosi. Capisci che ci sono cose che possono fare la differenza.
Il cambiamento climatico è un incubo. Le alluvioni, gli incendi e il caldo estremo di questa estate, dalla Cina alla Siberia e alla Columbia Britannica, ci ricordano che il problema si sta aggravando rapidamente. Ma la cosa che più colpisce nel rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), pubblicato il 9 agosto, non sono le cattive notizie, che in realtà non sono affatto una novità. È la chiarezza sulle possibili soluzioni, che sono un segnale di speranza.
L’aspetto più significativo del rapporto dell’Ipcc è stato sottolineato in modo sintetico da Piers Forster, fisico esperto di questioni climatiche dell’università di Leeds, nel Regno Unito. Il 9 agosto Forster ha scritto un paio di tweet per evidenziare le notizie buone e quelle cattive del rapporto. Le cattive notizie sono familiari: stiamo assistendo a eventi climatici estremi “sempre più intensi e frequenti”. Siamo vicini a un aumento di 1,5 gradi della temperatura media del pianeta, che raggiungeremo a metà del secolo. La buona notizia, invece, è che “siamo molto più sicuri del fatto che azzerando le emissioni nette si arresterà anche il contributo umano al surriscaldamento”. Azzerando le emissioni “il cambiamento della temperatura potrebbe addirittura cominciare a muoversi in senso opposto”. Questo significa che siamo nelle condizioni di fermare, o anche invertire, parte della devastazione.
Il rapporto dell’Ipcc sul clima conferma che azzerando le emissioni si può fermare in parte la devastazione
Come si legge nel rapporto: “La deliberata rimozione dell’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera potrebbe invertire alcuni aspetti della crisi climatica. Tuttavia questo potrà succedere solo se la rimozione sarà superiore alle emissioni. Alcune tendenze del cambiamento climatico, come l’aumento della temperatura della superficie globale, comincerebbero a invertirsi nell’arco di pochi anni. Altri aspetti avrebbero bisogno di decenni (per esempio lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno che nelle regioni circumpolari resta ghiacciato per tutto l’anno) o secoli (l’acidificazione delle profondità oceaniche) per invertire la tendenza. Alcuni, come l’innalzamento del livello dei mari, avrebbero bisogno anche di millenni”.
In altre parole è un piano a lungo termine. Servirebbero uno sforzo eroico e una collaborazione senza precedenti. Dovremmo introdurre profondi cambiamenti nelle nostre società, nelle nostre economie e nel nostro modo di vivere. Ma è possibile farlo. E sappiamo in che modo.
Ho scritto a Forster, che mi ha risposto spiegandomi che per lui le notizie incoraggianti sono cominciate con i progressi nella comprensione scientifica: “Ci sono buone notizie anche dalla nuova scienza. Abbiamo riscontrato che il rischio di andare incontro a cambiamenti improvvisi o superamenti di soglie critiche per il clima – come l’interruzione della corrente del Golfo, il crollo della calotta antartica o il deperimento forestale dell’Amazzonia – è basso e sarà molto improbabile se manterremo l’aumento della temperatura attorno agli 1,5 gradi. Grazie al miglioramento delle proiezioni climatiche conosciamo con precisione il percorso relativo alle emissioni che il pianeta deve seguire per mantenere le temperature vicine all’aumento di 1,5 gradi. Dobbiamo almeno dimezzare le emissioni globali entro il 2034 e azzerare le emissioni nette entro metà secolo”.
Come recitava uno dei grandi manifesti esposti in occasione della marcia per il clima di New York nel 2014: “Abbiamo le soluzioni”. Conosciamo il problema da decenni. In questo millennio le soluzioni per allontanarci dai combustibili fossili – le fonti di energia rinnovabile, soprattutto quella eolica e quella solare – sono maturate. Gli ostacoli residui sono politici. Questo significa che ci sono in circolazione tanti soldi legati all’industria dei combustibili fossili e allo status quo. Di conseguenza abbiamo bisogno di un movimento della società civile abbastanza forte da contrastare queste spinte. Abbiamo bisogno che le persone trasformino la paura in determinazione, o meglio, abbiamo bisogno che più persone riescano a farlo, seguendo l’esempio di molti scienziati, attivisti, finanziatori e politici.
L’urgenza è palpabile. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha dichiarato che “questo rapporto deve suonare come una campana a morto per i combustibili fossili e il carbone, prima che distruggano il nostro pianeta. Nessuna centrale a carbone dovrà essere costruita dopo il 2021. I paesi dovrebbero porre fine a tutte le esplorazioni e alla produzione di combustibili fossili, e dirottare le sovvenzioni verso le energie rinnovabili. Se vogliamo azzerare le emissioni nette entro metà secolo, entro il 2030 la portata dell’energia eolica e solare dovrebbe quadruplicare e gli investimenti nelle energie rinnovabili dovrebbero triplicare”. È un grido d’allarme, ma anche un progetto.
Perfino l’Agenzia internazionale per l’energia, di solito molto misurata, a maggio ha dichiarato che dovremmo puntare all’azzeramento delle emissioni nette, e che farlo “significa forti riduzioni nell’uso del carbone, del petrolio e del gas. Il percorso è difficile ma fattibile, e porterebbe grandi benefici alla prosperità e al benessere delle persone, fornendo un’opportunità per limitare il surriscaldamento a 1,5 gradi”. Insomma, entro il 2030 dobbiamo smantellare l’industria dei combustibili fossili.
Uno degli aspetti meno sottolineati è che il clima ci ha affidato il mandato di costruire un mondo migliore, più pulito, più equo e collaborativo sia nei confronti della natura sia tra noi esseri umani. Le cose non possono continuare come prima. Di fronte a noi ci sono due strade: quella verso il paradiso e quella verso l’inferno. Se raggiungeremo il paradiso relativo di un mondo senza carbonio ci renderemo conto che l’epoca dei combustibili fossili è sempre stata un inferno a causa della tossicità del petrolio, del gas e del carbone, che uccidono milioni di persone ogni anno, e della corruzione della politica.
Mettere fine all’era dei combustibili fossili, con le loro emissioni di metano e anidride carbonica, è l’obiettivo principale, ma ci sono altri percorsi da seguire che riguardano l’agricoltura, l’alimentazione, l’edilizia, i trasporti. Uno di questi aspetti, sottolineato dal professor William Moomaw, in passato tra gli autori dei rapporti dell’Ipcc, riguarda gli alberi. “Ogni anno le foreste catturano circa un terzo di tutte le emissioni di CO2 create dagli esseri umani”, ha scritto insieme alla scienziata Beverly Law in un recente articolo. “I ricercatori hanno calcolato che mettere fine alla deforestazione e permettere che le foreste mature continuino a crescere potrebbe permettergli di catturare una quantità doppia di CO2”.
Da tempo si dice che la tecnologia più efficace per assorbire il carbonio è l’albero. “L’altro aspetto che trovo sorprendente”, spiega Forster, “è che la natura continua a lavorare duramente per pararci il culo, con le foreste e la proliferazione della vita negli oceani che continuano a catturare buona parte della CO2 che emettiamo. Il rapporto dell’Ipcc dimostra che è questo meccanismo a rendere possibile l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette”.
Sappiamo cosa fare. Sappiamo come farlo. Resta da capire se ne avremo voglia. Molti, dagli attivisti agli scienziati, hanno già imboccato la strada giusta. La paura di un mondo molto peggiore di quello attuale dovrebbe stimolarci, e lo stesso vale per la speranza in un mondo migliore. In occasione del vertice sul clima in programma a novembre a Glasgow, la pressione dell’opinione pubblica dovrà spingere tutti i governi a impegnarsi ufficialmente a salvare il mondo. E nei prossimi anni dovremo fare in modo che mantengano le promesse.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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