Scommetto che di questi tempi quando vi svegliate la mattina e leggete le notizie, non riuscite a credere ai vostri occhi. Com’è possibile che tutto questo stia succedendo realmente? Il mondo è davvero sprofondato nel caos e nella follia? Vorreste uscire da questo incubo e invece l’incubo sta diventando la realtà quotidiana.

È così che noi ucraini ci siamo sentiti tre anni fa, quando la Russia ha invaso il nostro paese. La differenza è che per noi l’incubo è stato amplificato dagli orrori della guerra. Quella nuova realtà ci faceva venire voglia di gridare: “Fermate il pianeta, voglio scendere!”.

In questi tre anni noi ucraini abbiamo attraversato diverse fasi nel rapporto con la realtà. La prima è stata quella della negazione. La guerra non ci sembrava solo un crimine, ma anche una follia. Sentivamo che l’unica cosa da fare era scattare foto, inondare i social network con storie e filmati, tradurre i nostri messaggi in tutte le lingue. Il mondo – credevamo – si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto la verità. Eravamo certi che nel giro di poche settimane l’incubo sarebbe finito.

Poi quel sentimento ha lasciato il posto alla rabbia, spingendo l’esercito ucraino a cacciare gli occupanti grazie a un titanico sforzo militare. Alla fine del 2022 nel paese c’era una certa euforia, sentivamo di essere uniti e di avere l’appoggio dell’occidente. Un anno dopo, però, la guerra era ormai diventata la nostra realtà quotidiana. La rabbia si era trasformata in odio impotente e ci eravamo abituati all’incubo. Quando il Cremlino ha cercato di spaventarci minacciando un attacco nucleare, abbiamo risposto con una risata. Quando poi la guerra è entrata nel terzo anno, non avevamo più energia per odiare o ridere. Esattamente come l’odio, la paura è un’emozione spossante. Non si può avere paura per sempre. È in quel momento che è subentrato un senso di vuoto, di sfinimento, l’accettazione fatalista della realtà. E le energie rimaste sono state incanalate nella quotidiana lotta per sopravvivere. All’inizio del quarto anno di guerra, siamo passati dai sogni di vittoria all’umiliante speranza di una pace ingiusta.

L’idea di tornare ai confini del 1991 non è più molto popolare tra gli ucraini. L’unica cosa che conta è mettere fine alla guerra, per impedire che i nostri concittadini continuino a morire. Perfino la parola “vittoria” è diventata quasi un tabù: nelle città e lontano dal fronte questa retorica suona ormai vuota e fuori luogo.

Oggi sentiamo parlare di possibili accordi di pace, ma è già chiaro che in ogni caso per l’Ucraina l’esito sarà umiliante. Alcuni scenari sono peggiori di altri, ma nessuno ci darà la cosa più importante, che è la giustizia, non i territori perduti.

Sullo stesso Titanic

In che razza di mondo ci risveglieremo dopo questa cosiddetta pace? Non sarà solo il mondo dove un paese più forte può strappare il 20 per cento del territorio a uno più debole: sarà anche il mondo in cui un criminale di guerra può ordinare l’esecuzione di prigionieri disarmati e poi diffondere le immagini del massacro attraverso i suoi canali di propaganda, in cui gli ospedali pediatrici sono bombardati, in cui le centrali elettriche sono attaccate in pieno inverno con l’intento di lasciare al gelo milioni di persone. Un mondo in cui nessuno paga per queste azioni.

Il disgusto che provate leggendo queste righe è giustificato, e per gli ucraini è familiare da tempo. Perché nessun “accordo di pace” produrrà il risultato più importante, cioè la punizione dei criminali di guerra e la condanna delle loro atrocità. Invece di finire in carcere o subire l’isolamento internazionale, l’aggressore si siederà comodamente nella sua poltrona nelle più prestigiose riunioni internazionali, imponendo le sue condizioni. Viene voglia di gridare: non è possibile!

È così che ci sentivamo tre anni fa, nel febbraio 2022. Volevamo scuotere il mondo per svegliarlo, urlare fino a essere ascoltati. L’occidente era solidale con noi e ci ha aiutati, ma alla fine si è rifiutato di riconoscere la verità, cioè che la guerra russa è anche contro i paesi occidentali. Oggi gli europei stanno finalmente maturando questa difficile consapevolezza, mentre è chiaro che gli Stati Uniti non combatteranno mai per difendere l’Europa e che la Nato non serve più a niente.

Tragicomicamente, a risvegliare l’Europa non sono stati i crimini di Putin in Ucraina, ma l’arrivo di Donald Trump. La svolta geopolitica imposta da Washington ha costretto l’Europa a fare i conti con una conclusione che era già ovvia tre anni fa. La causa del tracollo globale a cui stiamo assistendo è semplice: l’impunità di Putin per l’aggressione all’Ucraina. È questo ad aver mandato in pezzi l’ordine globale e le sue regole. Oggi viviamo in un mondo di scherno e umiliazioni, che calpesta anche i valori morali che definiscono l’Europa. Il genio malvagio è uscito dalla bottiglia e ogni giorno che passa diventa più audace e aggressivo. C’è ancora qualcuno convinto che basterà un accordo di pace per fermarlo? La prossima volta la vittima non sarà solo l’Ucraina.

Perdonatemi, quindi, ma dopo tre anni di guerra il messaggio che v’invio dall’Ucraina devastata forse non vi piacerà. Noi ucraini siamo contenti che dopo mille giorni di guerra da Kiev a Bruxelles ci sia finalmente una posizione condivisa, anche se tragicamente tardiva. Siamo tutti a bordo dello stesso Titanic, che non raggiungerà mai l’America perché l’America è lontana e il disastro è qui, imminente.

Noi ucraini abbiamo stretto i denti e abbiamo resistito. Ora vogliamo capire cosa farete voi europei: cercherete di trovare insieme a noi una scialuppa di salvataggio o continuerete ad affondare tra le onde, ascoltando le note commoventi dell’Inno alla gioia? ◆ as

Andrij Ljubka è uno scrittore e poeta ucraino. Ha 37 anni e vive a Užhorod.

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Questo articolo è uscito sul numero 1603 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati