In Italia è ancora presto per parlare di ripresa
Squilli di tromba e rulli di tamburo per il tanto atteso annuncio del giorno: la stima periodica del pil pubblicata dall’Istat. Come ci si aspettava, questa stima ha sancito l’uscita dell’Italia dalla recessione. Nel primo trimestre del 2015 la produzione interna lorda italiana è salita dello 0,3 per cento: dopo tre trimestri negativi e uno piatto (crescita zero), si è tornati al “più”. Grande soddisfazione del ministro dell’economia, che si aspettava una crescita un po’ inferiore e nel Def (Documento di economia e finanza) ha stimato per tutto il 2015 un più 0,7 per cento.
Il partito di governo ha annunciato enfaticamente questi risultati su Twitter, disegnando una freccia rossa che s’impenna verso l’alto sfondando un muro.
Approfondito e circostanziato, invece, il commento del leader del principale partito d’opposizione (“tutte balle”).
È vero? Siamo fuori dal tunnel? Tecnicamente sì, per definizione: essendo la recessione la variazione negativa del pil per due trimestri consecutivi, con il più 0,3 per cento di gennaio-marzo siamo usciti dalla recessione. Il segno “più” del primo quarto dell’anno va visto però nel contesto generale, italiano ed europeo.
Su quello italiano, ci si chiede in primo luogo qual è la qualità di questa ripresa, e quanto lavoro ci porterà. I dati dell’occupazione e quelli sui contratti hanno anticipato la stima del pil: e ci dicono che, per ora, la ripresina non ha portato nuovo lavoro, mentre le novità normative e gli sgravi sui contributi hanno cambiato la composizione della forza lavoro, con molti precari che si sono spostati verso il nuovo contratto a tutele crescenti. Gli Stati Uniti hanno sperimentato da tempo limiti e danni della “jobless recovery” (la ripresa senza occupazione), e il pericolo c’è anche in Italia e in Europa.
A proposito di Europa, il contesto riserva qualche sorpresa, e l’Italia è stata una di queste. In questo primo scorcio dell’anno, Italia e Germania sono alla pari: la prima con una crescita di poco superiore al previsto, la seconda con una crescita molto inferiore al previsto (più 0,3 per cento, contro una previsione dello 0,7 per cento). L’altra sorpresa è la Francia, che ha avuto un aumento del pil dello 0,6 per cento. Molto bene anche la Spagna, con un più 0,9 per cento.
Come si vede dal quadro Eurostat, stavolta il cosiddetto “club Méditerranée” va meglio dei continentali, con un’unica grave eccezione: la Grecia, che è invece rientrata in recessione da due trimestri (meno 0,4 e meno 0,2 per cento). Nel complesso, tutta l’area dell’euro, trainata da Francia, Spagna e Italia, segna per il primo trimestre del 2015 un più 0,4 per cento.
Zero virgola quattro: un po’ poco, per una zona economica che è stata appena invasa da una liquidità senza pari, con il quantitative easing della Banca centrale europea. Sessanta miliardi di euro al mese, 1.140 miliardi entro l’autunno del 2016. Una massa di denaro a buon mercato per le banche, tassi di interesse pari a zero; più un calo record del prezzo del petrolio e la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Condizioni da boom, altro che da 0,4 per cento.
Ma il boom non arriva, gli investimenti restano ai minimi, e anche i più ottimisti vedono nei dati del primo trimestre una piccola promessa, non il preludio di una grande euforia. Il cosiddetto piano Juncker, quello per gli investimenti, non pare in grado di imprimere una svolta. Mentre preoccupano le piccole nubi tedesche (la Germania cresce poco, come rifiutandosi di fare la locomotiva d’Europa: un film già visto) e le grandi nubi greche: come si legge in quest’analisi del Guardian i leader europei pensano di aver costruito un buon cordone di sicurezza per le proprie economie in caso di default greco, ma farebbero bene a non esserne così sicuri.