In un mondo ideale, potrei pensare che non crediamo alle vittime degli stupratori perché ci è difficile immaginare che l’autore di uno stupro possa essere una persona per altri versi del tutto normale. In un mondo ideale, potrei concedere ai suoi difensori di dubitare che lo stupro, e quello che fa uno stupratore, esista davvero, visto che si tratta di una cosa orribile.

Ma non viviamo in un mondo ideale. In questo mondo, semplicemente non vogliamo credere alle donne, o meglio non vogliamo dover credere alle donne, perché farlo potrebbe, anche se di poco, complicare la nostra vita e la versione a cui preferiamo credere.

Sarebbe estremamente seccante dover vedere il mondo così com’è.

Lo stupro è un crimine disgustoso. Faccio fatica a pensarci, davvero – a credere che una persona possa sentirsi in diritto di controllare il corpo di un’altra al punto di introdurcisi con la forza. Gli stupratori si prendono qualcosa di intimo – l’accesso dentro di te – qualcosa su cui non hanno nessun diritto. Violano la sacralità del corpo, delle emozioni, la fiducia che nutriamo verso noi stesse e verso il mondo esterno, la sicurezza che il nostro corpo è nostro, o che un trauma simile richiede o merita giustizia. Crimine non sembra neanche una parola adeguata.

Eppure lo stupro è molto diffuso, e nessuno è veramente immune dalla sua minaccia.

Quando si tratta di violenza sessuale si fa raramente giustizia, che sia in un tribunale vero o in quello dell’opinione pubblica. Anzi, insieme alle tante testimonianze delle vittime, ci arriva il coro appassionato di chi non gli crede ed è ansioso di smontare le loro storie.

Forse è così difficile credere alle vittime degli stupri perché significa accettare il fatto che, solo negli Stati Uniti, almeno una donna su cinque – e forse anche di più, perché molte non sporgono denuncia – è stata vittima di una violenza simile.

Forse non riusciamo a concepire che tante persone abbiano subìto questa terribile violazione e che il nostro cosiddetto sistema giudiziario non faccia quasi nulla in proposito – ed è per questo che chiediamo prove, testimonianze e vittime inattaccabili. E tuttavia neanche questo ci basta.

Forse è più facile credere che tutte quelle donne mentono – che hanno qualche motivo segreto, qualche intento malvagio – invece di credere che tanti altri esseri umani siano capaci di una tale atrocità. Forse ci sforziamo di trovare una spiegazione diversa da quella più ovvia, perché la verità viscerale dello stupro – commesso o subìto da persone che conosciamo – è insopportabile.

Forse voglio credere che le persone intorno a me hanno tanta fiducia nella nostra umanità condivisa – così piena di compassione – da poter pensare che solo dei bruti della peggiore specie possano fare qualcosa del genere a un’altra persona. Ma trovo sempre più difficile concedere a queste persone il beneficio del dubbio.

Le accuse di stupro che riguardano Bill Cosby da tanto tempo, alla fine sembrano ricevere conferma. Le donne che hanno raccontato le loro storie sono ormai così tante che non possiamo più voltarci dall’altra parte, neanche se lo volessimo. Ma non dovremmo farlo. Non dovremmo avere bisogno di sentire i racconti di tante donne per crederci. Non dovremmo avere tanti dubbi. Una sola accusatrice dovrebbe essere più che sufficiente.

La Nbc ha cancellato lo spettacolo che Cosby stava preparando. Netflix ha rimandato la messa in onda di uno speciale girato di recente. Tv Land non trasmette più le vecchie puntate dei Robinson. Nel tribunale dell’opinione pubblica può sembrare che sia stata fatta giustizia, ma sono solo gesti simbolici. Forse questi attestati di fiducia sono il massimo che le donne che lo accusano possono sperare di ottenere. Ma essere credute non dovrebbe essere sufficiente.

Non avremmo mai dovuto ignorare le accuse contro Bill Cosby (che, secondo il suo avvocato, lui “non intende prendere in considerazione”), ma è difficile credere che un personaggio così popolare e amato abbia commesso qualcosa di così brutto. Ci chiediamo: com’è possibile che un comico di talento, un padre di famiglia e un filantropo sia anche uno stupratore seriale?

Cosby e gli altri uomini accusati di stupro contano proprio sul fatto che ci poniamo questa domanda. Ma non è accordato lo stesso privilegio alle vittime dello stupro, che invece devono fare di tutto per essere ascoltate, figuriamoci credute – e a prescindere dal fatto che gli uomini accusati siano ricchi e famosi.

Recentemente Rolling Stone ha pubblicato la storia straziante di Jackie, una studentessa dell’università della Virginia che racconta di aver subìto un brutale stupro di gruppo. La violenza era andata avanti per ore e l’ultimo dei suoi aggressori era stato un compagno di corso che lei aveva riconosciuto. Il ragazzo esitava, ma uno degli altri gli aveva detto: “Ferma la gamba di quella cazzo di cosa”.

Non riesco a togliermelo dalla testa. Mi fa stare male. “Cosa”.

Sono tormentata dai ricordi di quando io stessa sono stata una “cosa”, un nulla, un mucchietto di ossa su un pavimento sporco, tormentato da un branco di orribili ragazzi. Ero una “cosa” quando loro ridevano, bevevano, mi rompevano e mi prendevano con la forza. Ero una “cosa” quando raccontavano a tutti quello che avevano fatto e la gente cominciava a guardarmi in modo strano.

Troppe di noi sono state “cose”. Troppe di noi lo saranno ancora. Troppi di noi continueranno a guardare qualsiasi cosa tranne che la cruda verità.

Ma lo stupro e la sua giustificazione funzionano così: quella donna non era un essere umano, quello non era il suo corpo, quello che dice non è vero. Nella storia di Jackie, dopo che i suoi aggressori l’avevano lasciata livida e sanguinante, i suoi cosiddetti amici hanno deciso di non portarla in ospedale per non danneggiare il buon nome del campus. Era una situazione scomoda, la sua verità era scomoda, la loro amica livida, sanguinante e violata era scomoda.

Questa è la cruda verità. Gli stupratori ci mettono meno a disagio delle loro vittime. I predatori non chiedono nulla. Non sono una seccatura. Non sanguinano, non impressionano né rivelano le loro immense ferite. Se non dubitiamo di loro non dobbiamo dubitare di noi stessi. È per questo che il fascino del signor Robinson conta più delle parole di tante donne. È per questo che il prestigio di un campus è più importante delle parole di tante ragazze che sono state stuprate in quel campus.

“Cosa”.

Spero che questa parola ci tormenti finché non saranno ascoltate e credute la ragazza a cui si riferiva e tutte le altre donne vittime di uno stupro.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Roxane Gay è una scrittrice e saggista statunitense. Si occupa soprattutto di femminismo e diritti delle donne. Collabora con The Rumpus e scrive questa column per il Guardian. Ha pubblicato Bad feminist (Perennial 2014).

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