Nel suo ultimo romanzo, Toni Morrison pone una domanda difficile: come giudicare i peccati di una bambina se questi peccati sono stati generati da una forza contro cui non poteva nulla? Lula Ann Bridewell, che preferisce farsi chiamare Bride, è una bellezza nero-bluastra, il genere di donna che fa girare molte teste dovunque vada. È alta, elegante e si veste soltanto di bianco per esaltare la sua bellezza.
Ma Bride non è sempre stata consapevole della sua bellezza, e non ha sempre saputo come vestirsi. Quando era ancora una bambina sua madre, Sweetness, la puniva per la sua pelle scura, che tra l’altro aveva causato anche la fine del suo matrimonio perché suo marito Louis non riusciva ad amare una bambina con una pelle così scura come quella di Bride. “Siamo stati bene per tre anni”, racconta Sweetness, “ma quando è nata Lula Ann, Louis ha dato la colpa a me e l’ha trattata come un’estranea, quasi una nemica”. La madre, invece, ha chiesto alla bambina di chiamarla semplicemente Sweetness e non usare alcun appellativo materno.
Bride è cresciuta senza amore, tenerezza o affetto. Sweetness sostiene di aver protetto la bambina da un mondo che sarebbe stato ancora più incline a punirla per il suo colore della pelle. Sweetness è pronta a scusarsi per la pelle della figlia, ma non per la sua visione del mondo e per il modo in cui ha cresciuto Bride. “Alcuni di voi probabilmente pensano che sia sbagliato raggrupparci in base al colore della pelle (più chiaro è meglio è) nei club, nei quartieri, nelle chiese, nelle associazioni e persino nelle scuole. Ma è l’unico modo che abbiamo per mantenere un po’ di dignità”. È proprio per questo che giudicare le scelte di Sweetness è così difficile. Avrebbe dovuto comportarsi meglio, ma allo stesso tempo è evidente che le sue decisioni sono state modellate dal fatto di essere una donna nera in un mondo di bianchi, un mondo in cui più la tua pelle è chiara e più in alto potrai arrivare.
Se la distinzione in base al colore ha permesso ai neri di aggrapparsi alla propria dignità, allora è evidente che Bride non avrebbe mai potuto averne. Con una madre contraria alla sua stessa esistenza, non sorprende che Bride decida a un certo punto di raccontare una bugia che farà finire in carcere una donna innocente soltanto per poterla vedere e amare, per poter avere un po’ di dignità tutta per sé.
Anni dopo, ormai adulta, Bride trova il modo di accettare il colore della sua pelle. È una manager di successo in una società di cosmetici, guadagna molto e frequenta la gente che conta. Eppure il suo passato non l’abbandona. Bride cerca di farsi perdonare quella terribile bugia raccontata quando era ancora una ragazzina, ma nel frattempo il suo ragazzo, Booker, l’abbandona e lei scopre che chiedere scusa a volte non basta.
Bride cerca di ritrovare Booker, non per amore ma perché odia l’idea che lui l’abbia lasciata. Quando scopre che in realtà non conosceva per niente quell’uomo, Bride ammette: “Non ho mai pensato a quella parte della sua vita perché nel nostro rapporto la cosa più importante, oltre fare l’amore e il fatto che lui mi capiva, era il divertimento”. Come accade spesso nella sua vita, Bride si preoccupa soltanto di come Booker interagisce con lei. La vita di Booker oltre la loro relazione non le interessava, almeno fino a quando ha deciso di rintracciarlo.
Il viaggio porta Bride nei boschi della California del nord, dove ha un incidente d’auto e passa la convalescenza con una famiglia bianca che ospita anche Rain, una ragazza tormentata. Nel frattempo il corpo di Bride cambia senza che gli altri se ne accorgano, si rimpicciolisce e perde i peli come se stesse regredendo allo stato adolescenziale. Questi cambiamenti fisici sono la parte più interessante ma anche meno sviluppata di God help the child. Morrison corteggia il realismo magico che permea alcuni suoi lavoro precedenti, ma non sonda fino in fondo l’inspiegabile cambiamento fisico di Bride.
God help the child è un romanzo di cui possiamo sentire la magnificenza senza però riuscire mai a raggiungerla. La scrittura e la trama sono intriganti, ma altri aspetti sono meno completi. La storia sarebbe adatta per un libro superbo, dove i personaggi sono esplorati a pieno e la posta in gioco è più alta.
Ma gli unici personaggi del romanzo che hanno una certa profondità sono Bride, Sweetness e (in misura minore) Booker. Poi ci sono altre figure di cui non sappiamo molto e che invece dovrebbero essere più definite. Anche la sottotrama del subdolo collega e amico Brooklyn non si sviluppa quasi per niente. Uno dei personaggi che appaiono più maturi per un ulteriore sviluppo, Queen, occupa poche pagine.
Eppure resta questo senso di grandiosità, di qualcosa che brucia sotto la superficie di tutte le parole. La lingua cambia a seconda dei punti di vista, e il coraggio della premessa del romanzo è immenso. Morrison resta una scrittrice incredibilmente forte che riesce ad attirare la nostra attenzione a prescindere dalla trama. God help the child è la storia di una donna diventata adulta ma il cui sviluppo a un certo punto si blocca.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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