Il trasferimento dei 36 ragazzi stranieri dal centro di accoglienza di Tor Sapienza assediato dalle folle è solo l’epilogo di una vicenda in cui si misura la siderale distanza delle istituzioni cittadine di Roma dai problemi di una periferia che sta implodendo.
Deciso dal comune per conclamate esigenze di ordine pubblico, lo spostamento dei ragazzi in “località segrete” (neanche fossero pentiti di mafia) è per ammissione dello stesso ministero dell’interno “una resa ai malumori della piazza”.
Il sindaco Ignazio Marino, probabilmente distratto dalla storia delle sue multe hackerate, non ha ritenuto il caso di andare a Tor Sapienza a vedere con i propri occhi la situazione e parlare con i protagonisti della vicenda, in primis i membri del comitato di quartiere che considerano la presenza di 36 minorenni stranieri la radice di tutti i loro mali. Si è limitato a riceverne una delegazione in Campidoglio, come un novello Nerone che accoglie a corte i questuanti mentre la città brucia.
E la città con ogni probabilità continuerà a bruciare, sotto la spinta di un’estrema destra che sta strumentalizzando i disagi della periferia sempre più marginalizzata e abbandonata a se stessa. Tutto lascia pensare che la “resa” di Tor Sapienza sarà solo un episodio di uno scontro che sta progressivamente investendo tutta la zona est della capitale e che sta identificando nel più debole e nel diverso (il richiedente asilo, il rom) il proprio perfetto capro espiatorio.
Mentre leghisti e fascisti vecchi e nuovi soffieranno su questo fuoco, il sindaco rimarrà a osservare l’incendio dalle sue finestre con affaccio sui Fori o si degnerà di esplorare i disagi di una città di cui sembra conoscere solo il centro storico?
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