Chi fa da megafono ai negazionisti climatici
Il Po è ai livelli più bassi degli ultimi settant’anni e la siccità, già preannunciata lo scorso inverno dall’assenza di piogge per quasi cento giorni, sta mettendo a rischio la risorsa più preziosa che abbiamo: l’acqua. La scienza del clima afferma che il cambiamento climatico può aumentare le probabilità e l’intensità dei fenomeni siccitosi. D’altronde non bisogna essere scienziati per unire i puntini: un mondo più caldo aumenterà la probabilità di siccità in alcune aree. E non solo di siccità. Le morti sulla Marmolada, il 3 luglio, sono conseguenza anche delle elevate temperature, ha affermato il climatologo Luca Mercalli: lo zero termico sopra i quattromila metri e la fusione accelerata del ghiacciaio hanno causato l’accumulo di acqua dentro un crepaccio favorendo il distacco.
Eppure, c’è chi ancora fa negazionismo climatico.
Nel panorama anglosassone a fare da cassa di risonanza a queste teorie ormai sono rimasti in pochi. Si tratta soprattutto di piattaforme conservatrici o ultraconservatrici come Fox News, il che non è una novità. Quando sono altre piattaforme, meno schierate politicamente rispetto a Fox News, a fare disinformazione sulla crisi climatica, questo avviene attraverso le prospettive di compagnie o lobby fossili con interessi economici e politici, più che un negazionismo assoluto sul clima.
Questo tipo di contenuti suscita reazioni molto diffuse, soprattutto tra coloro che sono a conoscenza della scienza del clima e della necessità urgente di agire per ridurre le emissioni. Poche settimane fa, per esempio, sul canale Cnbc è andato in onda un contenuto su Exxon Mobil che ha promosso il business della compagnia attraverso un’azione combinata di greenwashing (cioè la strategia di comunicazione di alcune aziende che presentano come ecosostenibili le loro attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo) e fake news, ha denunciato l’autrice ed esperta di comunicazione sul clima Genevieve Guenther. “Quanto vi ha pagato la Exxon?”, ha twittato Guenther.
Molti esperti, tra cui Robert Brulle, un noto sociologo che studia il negazionismo climatico da decenni, hanno reagito in modo simile. “Questo è un classico esempio di propaganda dei combustibili fossili. Ha tutte le caratteristiche della propaganda fuorviante: presentazione selettiva dei fatti, mancanza di prospettive critiche e presentazione unilaterale della prospettiva della Exxon Mobil”, ha affermato Brulle.
In Italia il pubblico riceve messaggi contraddittori che alimentano la prospettiva negazionista
In Italia invece il negazionismo climatico è diffuso anche su piattaforme, canali e trasmissioni che vengono considerati in qualche modo autorevoli, e non solo da testate politicamente schierate a destra come succede nello scenario mediatico anglosassone. Il risultato è che il pubblico riceve messaggi contraddittori che alimentano la prospettiva negazionista che, a sua volta, fa leva sugli stessi elementi ormai da decenni: instillare il dubbio sulla scienza del clima, creare confusione il più possibile e fare propaganda politica.
Solo poche settimane fa, in prima serata, durante il programma televisivo Carta bianca, è stato dato spazio e voce a posizioni negazioniste. Nell’ultima settimana di giugno sul Mattino sono stati pubblicati due interventi. In uno l’intervistato ha potuto affermare, tra le altre cose, che i dati dell’Onu sono “sbagliati ed esageratamente caldi in partenza”, che le informazioni scientifiche sono “diffuse in maniera propagandistica” e che la Terra è calda per via di “cicli millenari e molte speculazioni”. Nell’altra intervista si affermava che “il caldo record non è una novità” ed è condizionato dall‘“influenza dei cicli solari”. Che il cambiamento climatico sia colpa del Sole è una teoria che risale agli anni ottanta e novanta, ed è già stata dimostrata come falsa e rifiutata dall’Intergovernmental panel on climate change dell’Onu. In un altro articolo pubblicato su Il Foglio, il 24 giugno, si è affermato “altro che siccità, la vera crisi dell’acqua in Italia è ideologica”.
Il 5 luglio, sulla prima pagina del Giornale ancora si legge il titolo, a proposito delle morti sulla Marmolada, “Gli sciacalli dei ghiacci” e la frase “i gretini strumentalizzano la strage”. Il capovolgimento è una tecnica usata spesso dai negazionisti: accusano “l’altra parte” di un atteggiamento che loro per primi mettono in campo – in questo caso, la strumentalizzazione.
Anche l’anno scorso, quando il ciclone detto medicane (dalla fusione dei termini inglesi mediterranean hurricane, “uragano mediterraneo”) ha colpito la Sicilia, un negazionista climatico italiano aveva potuto affermare in tv che l’attività umana “non ha nulla a che fare” con il cambiamento climatico. Il negazionismo puntella ancora i contenuti di molte piattaforme mediatiche in Italia, in varie forme. E, se non è aperto negazionismo, è minimizzazione: “la situazione non è poi così grave”, “fate allarmismo”, “ci adatteremo”. Quest’ultima argomentazione sta diventando il mantra di chi, avendo capito che sostenere che “il cambiamento climatico non esiste” o che “la crisi climatica non è responsabilità antropica” è sempre più indifendibile, utilizza la capacità di adattamento per sminuire gli impatti della crisi climatica. Inoltre questa argomentazione implica che l’impegno per attenuare gli effetti del cambiamento climatico è inutile e inquadra l’adattamento come “l’unica risposta possibile”, sostengono i ricercatori di “Discourses of climate delay”, un’analisi che prende in esame i ragionamenti utilizzati da chi ha interesse a procrastinare e rallentare l’azione sul clima.
Queste argomentazioni, promosse da alcune testate e trasmissioni, danno al pubblico la falsa percezione che ci sia incertezza sull’esistenza e sulla gravità della crisi climatica, e che il dibattito scientifico sul cambiamento climatico sia ancora in corso. Il “falso equilibrio” dell’informazione non fa altro che reiterare e alimentare l’idea fuorviante che il cambiamento climatico, anche se esiste, non è poi così grave, che non riguarda l’Italia, che gli eventi meteorologici estremi e i fenomeno causati dall’aumento della temperatura come quelli che si stanno verificando in tutta la penisola e in molte altre aree del mondo non vi hanno nulla a che fare.
Ma come scrive l’ex presidente di Legambiente Roberto Della Seta su Twitter, il problema è alimentato anche dai “grandi media” che “commentano allarmati” gli effetti dei cambiamenti climatici e poi “ricominciano a dare voce” a chi vuole procrastinare sulla decarbonizzazione.
Il meccanismo è simile a quello di una cassa di risonanza: alcuni mezzi di comunicazione, promuovendo argomentazioni e prospettive negazioniste che non potrebbero essere più lontane dalla scienza e dai fatti, dando voce a chi offre argomentazioni per rallentare l’azione sul clima fungono da camera dell’eco e, nei casi più estremi, offrono una rappresentazione errata e fuorviante della realtà.
La differenza tra l’aperto negazionismo di alcuni individui e la propaganda e il greenwashing dei combustibili fossili è che la seconda è più insidiosa e più difficile da riconoscere ma, in mancanza di dati sul cambiamento climatico, la prima può essere altrettanto dannosa.
È sempre più evidente che, in molti casi, anche quando si parla della crisi climatica come fattore che contribuisce a un fenomeno come la siccità, manca l’anello di collegamento fondamentale: il legame tra il cambiamento climatico e la sua causa principale, le emissioni prodotte dai combustibili fossili, dall’industria agroalimentare e da altri settori inquinanti. Il tema energetico, in molti casi, appare irrilevante se si parla di siccità o di razionamento dell’acqua. Ma come si può costruire un dibattito costruttivo sulla crisi climatica e, di conseguenza, delle azioni concrete se le cause del problema vengono costantemente sminuite o ignorate?
Il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce, quindi va a stratificarsi su vulnerabilità preesistenti e discriminazione strutturali
Se la crisi climatica viene comunicata a compartimenti stagni, come può il pubblico comprenderne le implicazioni reali? Se non si rendono chiari i collegamenti di causa-effetto come possono una cittadina o un cittadino comprendere che l’aumento dei prezzi del gas o dell’elettricità, per esempio, sono strettamente legati a come si comportano le aziende energetiche e di combustibili fossili che, a loro volta, sono strettamente legate alle emissioni e, quindi, al riscaldamento globale? Se si continua a promuovere il negazionismo e l’ostruzione all’azione per il clima come può un elettorato comprendere quanto è cruciale scegliere una candidata o un candidato politico che agisca concretamente e urgentemente per il clima?
Ecco il nocciolo della questione. Confondere le persone e distrarle dalla realtà delle cose le rende molto più vulnerabili alla disinformazione e al greenwashing. E questo fa gioco alle aziende di combustibili fossili e a chi ha interesse a rallentare la transizione energetica ed ecologica. Se parte della disinformazione è conseguenza di superficialità e negligenza, un’altra parte è intenzionale e strategica, per ragioni ideologiche, economiche e politiche. Queste fanno leva anche su un’altra questione fondamentale che ha a che fare con dinamiche cognitive, più che comunicative o politiche: c’è un meccanismo di rimozione del la minaccia del cambiamento climatico, la quale non viene percepita come qualcosa di imminente e che avrà un effetto diffuso (anzi, che ha già un effetto diffuso), ma come un problema quasi astratto, lontano nel tempo e nello spazio, e che non ci toccherà mai da vicino.
Il tema viene quindi spesso trattato e percepito come un problema non problema, un fenomeno che esiste, ma viene dopo altri più importanti. Il risultato di questa dinamica è che ignora un fatto fondamentale: il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce, quindi va a stratificarsi su vulnerabilità preesistenti e discriminazione strutturali che possono avere a che fare con la salute, la condizione socioeconomica o le disuguaglianze di genere, per esempio. Lo spiegano bene Abbie Veitch e Khalil Shahyd nei loro articoli pubblicati più di due mesi fa, prima della decisione della corte suprema americana di abolire il diritto all’aborto: la crisi climatica è anche un problema di giustizia riproduttiva, la giustizia riproduttiva è giustizia climatica.
Sottolineare tutti questi nessi significa, innanzitutto, fare luce su più di cinquant’anni di scienza del clima che, volendo semplificare al massimo, si potrebbero riassumere così: più emissioni = aumento della temperatura globale = aumento di frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi. Il continuo procrastinare della politica e delle aziende ci ha già catapultati nel mezzo della crisi climatica e ci sta portando verso scenari di aumento della temperatura con conseguenze estremamente serie per gli ecosistemi, la vita e la salute degli esseri umani. Ci sono continui dati a supporto di questo. Tra i più recenti, un nuovo rapporto di oltre quaranta gruppi, pubblicato da Oil change international, ha rilevato che le principali compagnie petrolifere e del gas statunitensi ed europee, inclusa l’italiana Eni, “non riescono ancora a soddisfare il minimo indispensabile per allinearsi all’Accordo di Parigi”. Le promesse e gli impegni di queste aziende sono tutt’altro che credibili, conclude il rapporto, visto che stanno pianificando più di duecento progetti di espansione dei combustibili fossili da qui al 2025.
Ma finché l’informazione sulla crisi climatica non viene fatta in maniera accurata e costruttiva, le piattaforme mediatiche condivideranno parte del peso di questa responsabilità. E con questa, deve esserci anche la scelta di distanziarsi il più possibile da chi ha inquinato, continua a inquinare e fa di tutto per nasconderlo. Questo deve significare anche agire in maniera “scomoda”, come rifiutare finanziamenti o sponsorizzazioni.
All’opinione pubblica bisognerebbe fornire innanzitutto le basi della crisi climatica: cos’è, da cosa è causata e perché è un problema. Una volta chiarite le basi, che possono sembrare banali ma in moltissimi casi ancora mancano, sarebbe utile fornire gli strumenti per riconoscere la disinformazione e le strategie negazioniste o di ostruzione all’azione per il clima, in modo tale da poter distinguere un’informazione fattuale da una fabbricata e fuorviante. Infine, è necessario approfondire gli effetti della crisi climatica, non solo in termini fisici ma anche nelle interconnessioni con l’aspetto sociale, la politica, l’economia e così via.
Tutto questo va fatto tenendo a mente soprattutto un elemento: si deve fare affidamento su fonti autorevoli, su scienziati del clima, su esperti di comunicazione, su scienziati sociali con esperienza sul tema e su cittadini, lavoratori, attivisti che per primi stanno subendo gli effetti della crisi climatica, non su negazionisti che nel 2022 ancora promuovono idee come “è colpa del Sole” o su rappresentanti delle compagnie fossili che inquinano e nascondono la propria responsabilità nella crisi climatica da decenni.
La domanda non può più essere se e quando arriverà il cambiamento climatico. È già qui ed è già grave. Quanto ancora andranno avanti alcune piattaforme mediatiche a ospitare negazionisti climatici? Quanto ancora si continuerà a ignorare la responsabilità e l’azione di chi ha contribuito a causare la crisi climatica? Quanto tempo ancora verrà perso?