Dal blog di Ethan Zuckerman

I giornali dovrebbero cominciare a puntare non solo sugli abbonati, ma anche sui fan di una sola rubrica.

L’altro giorno ho bevuto un caffè insieme a un amico che lavora al New York Times. Gli ho confessato che il giornale mi piace molto, ma comincio a essere stanco del modo in cui cerca di spillarmi soldi anche se sono già abbonato.

Posso leggere il New York Times all’Mit, ma dato che spesso leggo il giornale anche su altri dispositivi ho deciso di abbonarmi all’edizione digitale. Per un paio di settimane sono stato un cliente soddisfatto: ho letto sul computer ben più dei dieci articoli disponibili gratis e ho sfogliato spesso il quotidiano sul telefono.

Ma poi il Times ha lanciato il nuovo piano dei tre articoli al giorno per i lettori che usano dispositivi portatili. Con il mio abbonamento digitale (che costa 240 dollari all’anno) posso leggere la versione per tablet e per il web, ma per leggere il giornale anche sul telefono devo pagare altri 180 dollari all’anno.

La cosa migliore sarebbe abbonarmi al cartaceo e avere l’accesso completo anche al digitale, ma non posso farlo perché non lo spediscono al mio indirizzo in campagna. Potrei decidere di passare dal pacchetto “web e iPad” a quello “web e telefono”, ma mi sembra assurdo che i dati digitali che ho comprato per un dispositivo non si possano consultare su un altro.

Quindi mi sono unito a una folta schiera di persone che pubblicano consigli online per leggere il Times senza pagare.

Confrontiamo questa situazione con quella di un’altra fonte d’informazione molto usata dai lettori del New York Times: la radio pubblica. Nessuno si vanta di ascoltare la Npr senza dare una donazione o di scaricare i podcast senza pagare. Prima di tutto perché non ce n’è bisogno: la radio pubblica è gratuita ed è sostenuta da contributi volontari. Ma c’è un altro motivo: gli ascoltatori amano la radio pubblica, sono pronti a finanziarla e se non lo fanno si sentono in colpa.

Non voglio dire che il New York Times dovrebbe affidarsi alle donazioni dei suoi sostenitori, ma sarebbe utile riflettere sul rapporto che le radio pubbliche – e le loro trasmissioni – hanno stabilito con gli ascoltatori.

Quando le persone che lavorano nel mondo dell’informazione si incontrano, spesso disegnano un grafico su un tovagliolino di carta o sulla lavagna: è il diagramma di Pareto, o coda lunga, in cui l’asse Y rappresenta il grado di coinvolgimento dei lettori con i contenuti del giornale e l’asse X il numero di lettori. Vicino all’asse della y la curva è altissima: quello è il piccolo gruppo di lettori più coinvolti, che commentano gli articoli e li condividono sui social network.

Poi la curva si appiattisce e qui si trova la maggior parte dei lettori: quelli che leggono gli articoli solo di tanto in tanto. Il New York Times dovrebbe riuscire a trasformare i lettori a sinistra in abbonati, e guadagnare con quelli a destra attraverso i banner pubblicitari.

Le radio pubbliche hanno a che fare con un grafico simile. Per loro è fondamentale convincere il gruppo a sinistra a diventare sostenitori o a fare donazioni. Ma per farlo, invece del paywall le radio usano una combinazione di gratitudine e senso di colpa.

Un esempio è il giornalista Ira Glass che esorta gli ascoltatori a donare poco più di cinque dollari per la trasmissione This american life, in modo da coprire anche i costi di chi non fa donazioni. E se non doniamo nulla? Ci sentiamo in colpa, ma non criminali.

Ogni volta che il New York Times mi ricorda quanti dei tre articoli gratuiti ho letto sul telefono, invece, ho la sensazione che qualcuno stia lì a controllare che io non abbia approfittato di un articolo di troppo.

Immagino che l’ufficio commerciale del Times parta dal presupposto che sulla curva abbonati/entrate ci siano solo due categorie: gli abbonati che pagano 300-800 dollari all’anno e tutti gli altri, per cui le inserzioni pubblicitarie coprono solo una minima parte della lettura gratuita. Ma esiste un’altra possibilità: il Times potrebbe cominciare a dividere i propri lettori in abbonati, semplici fan di una rubrica o lettori occasionali.

Il quotidiano può guadagnare sui lettori occasionali solo con la pubblicità: queste persone arrivano sul sito per caso e a volte non si rendono conto che stanno leggendo il New York Times. È frustrante, ma il web funziona così.

Il Times dovrebbe coltivare gli abbonati e incoraggiare i fan a diventare abbonati. E potrebbe riuscirci corteggiando i fan piuttosto che escluderli del tutto.

I fan del New York Times potrebbero essere motivati a sostenere il giornale non attraverso una minaccia di esclusione, ma tramite l’incoraggiamento a finanziare il giornale e in particolare le parti del giornale che apprezzano di più. Quando faccio una donazione alla Wnyc tengo sempre a precisare che non sono un ascoltatore dell’emittente in generale ma solo di On the media, la mia rassegna stampa preferita. Credo che alcuni lettori del Times sarebbero entusiasti di poter contribuire al quotidiano e di dire: “Per favore, non date questi soldi a Maureen Dowd. Sto facendo questa donazione nella speranza di leggere altri articoli di Ta-Nehisi Coates”.

Per corteggiare i fan, il New York Times potrebbe aiutarli a capire quanti contenuti consultano sul quotidiano e magari anche su altre fonti. Potrebbe farsi ispirare dalle idee di David “Doc” Searls sul monitoraggio dell’utilizzo della radio pubblica e sulla possibilità per gli ascoltatori di fare donazioni a stazioni o programmi che ascoltano di frequente.

Il giornale potrebbe riconoscere che i suoi fan leggono con interesse anche altri giornali come il Guardian, il Christian Science Monitor o Planet Money e potrebbe associarsi con alcune di queste testate per creare una piattaforma comune con cui raccogliere dati sull’uso dei diversi mezzi d’informazione, proporre abbonamenti e fornire consigli.

Il giornale potrebbe cominciare a trattare i fan che scelgono di abbonarsi come sostenitori, ringraziandoli perché così rendono le notizie accessibili a molte altre persone, non solo a quelle disposte a pagare.

Rendere le notizie accessibili ai lettori occasionali è essenziale. I mezzi d’informazione hanno due motivi d’esistere: incassare abbastanza per continuare a stampare, e sollecitare l’impegno sociale, imponendo ai potenti di rendere conto delle loro azioni e fornendo ai cittadini le informazioni necessarie per partecipare a una democrazia.

Con il declino delle entrate pubblicitarie, la tendenza dei siti che usano un paywall è quella di informare solo un gruppo ristretto di abbonati. Nell’ambito di questo processo i quotidiani potrebbero perdere il loro ruolo civile.

Se i siti d’informazione trovassero un modo di farsi sostenere dai non abbonati che li apprezzano, potrebbero rendere accessibili i loro contenuti a un pubblico più ampio.

Per ottenere questo risultato, il New York Times dovrebbe ripensare seriamente la sua strategia. Ci stiamo inoltrando in un mondo in cui le persone non dipendono più da un’unica fonte d’informazione e leggono gli articoli su diversi siti. Il Times dovrà accettare che i lettori non possono dare trecento dollari a tutti i giornali che vogliono sostenere. Forse per il quotidiano è venuto il momento di accogliere i suoi fan, invece di allontanarli.

(traduzione di Floriana Pagano)

Ethan Zuckerman è il direttore del Center for civic media all’Mit. Il suo ultimo libro è Rewire. Questo articolo è uscito sul suo blog con il titolo Members, fans and complementary revenue models for the New York Times.

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