La riforma del diritto d’autore proposta dall’Unione europea si trova a un punto cruciale in quanto sta per essere votata dal Parlamento europeo.
L’intenzione della Direttiva sul copyright nel mercato unico digitale, primo importante aggiornamento della legislazione in materia in quasi vent’anni, è quella di modernizzare il copyright e adeguarlo all’era digitale. Ma nel testo sono state inserite alcune disposizioni molto problematiche che sono state recentemente approvate dalla commissione parlamentare per gli affari giuridici. Il che significa che l’attuale proposta, con tutti i suoi problemi, ha buone possibilità di diventare legge molto presto, a seconda di come andrà la votazione finale del plenum del Parlamento europeo, il 5 luglio.
L’attuale pacchetto di riforme sul diritto d’autore è sfaccettato, e alcune sono indiscutibilmente delle buone idee. Ma la direttiva sul copyright, in particolare, ha generato parecchia preoccupazione – e azioni pubbliche di protesta – a causa di alcune disposizioni che influenzeranno significativamente la vita online di milioni di cittadini, e non necessariamente in senso positivo. Due di queste disposizioni riguardano i diritti degli editori della carta stampata e il filtro preventivo obbligatorio per i contenuti caricati su internet.
Il diritto degli editori
Per ricompensare i produttori di contenuti per il guadagno ottenuto dalle piattaforme di social network che condividono i link e i titoli degli articoli di notizie, è stata proposta la cosiddetta link tax, che comporterebbe per le piattaforme (come Facebook o Twitter, ma anche molte altre) il pagamento di una licenza per poter usare articoli e informazioni (anche se un recente emendamento sembra escludere la sua applicabilità ai link autonomi).
Secondo la legge attuale, gli articoli sono già soggetti alla protezione del copyright come le opere letterarie. Se si desidera ripubblicare un articolo da un giornale o una rivista, è necessario il loro permesso. Questa protezione si estende anche al titolo dell’articolo, se sufficientemente originale.
Tuttavia, fatti e dati relativi alla cronaca non sono mai stati protetti dal diritto d’autore. Se un notiziario pubblica un articolo il cui titolo è la semplice descrizione di un evento corrente – “L’Inghilterra si qualifica per la fase a eliminazione diretta dei Mondiali 2018” – questo non è sufficientemente originale per garantire la protezione del copyright. È una descrizione di un evento attuale, un fatto. Non c’è creatività in esso, rispetto ai titoli particolari o originali che si trovano comunemente su alcuni giornali. Se tali elementi fossero protetti, significherebbe che nessun altro sito di notizie o blog potrebbe riportare lo stesso evento senza il permesso dell’editore originale.
È quindi chiaro perché qualsiasi tentativo di tassare i resoconti fattuali delle notizie di cronaca è senza senso. Dal punto di vista economico, il copyright consente il monopolio di un particolare lavoro creativo. Permettendo che i diritti di monopolio siano estesi a idee, fatti o dati sulle notizie di attualità, la direttiva costituisce un limite ingiustificabile al nostro fondamentale diritto alla libertà d’informazione: libertà di creare e fornire informazioni e libertà di riceverle. Anche molti altri diritti ne sarebbero colpiti, come la libertà d’impresa o la proprietà intellettuale di coloro che desiderano riutilizzare le informazioni fattuali per creare qualcosa di originale.
Ci sono prove evidenti e consenso unanime sul fatto che limitare il libero flusso di informazioni in questo modo sarebbe disastroso.
Il filtro preventivo obbligatorio
Definire questa disposizione come una “macchina della censura” potrebbe sembrare un’esagerazione, ma è indiscusso che la proposta intende rendere obbligatorio per i provider di hosting di siti web l’uso di un software di filtraggio che verificherà che i contenuti caricati o ospitati siano leciti: per esempio che non compaiano su nessuna lista di materiale protetto da copyright fornito dai titolari dei diritti.
Paradossalmente, questo potrebbe significare, tra le altre cose, che se un cittadino dell’Unione europea vuole esprimersi su internet potrebbe dover chiedere il permesso a un software di filtraggio dei contenuti sviluppato da una società con sede negli Stati Uniti.
Legge attuale: avviso e rimozione
Secondo la normativa vigente, le piattaforme – le organizzazioni che formano l’infrastruttura online attraverso la quale gli utenti interagiscono, come YouTube, Facebook, Twitter, Amazon, eBay o Instagram – non sono responsabili quando i loro utenti violano il copyright, a patto che non siano a conoscenza della violazione e che una volta informate, agiscano rapidamente per rimuoverlo. Questo processo è noto al livello globale come notifica e rimozione, anche se ci sono differenze tra le diverse giurisdizioni.
Questa limitazione di responsabilità per le piattaforme dura solo fino a quando esse non sono al corrente della violazione materiale. L’individuo responsabile del caricamento di una canzone, di un video o di un prodotto protetti da copyright, tuttavia, può ancora essere citato in giudizio dagli autori o più spesso dai titolari dei diritti che hanno acquisito il copyright dagli autori, per esempio società di comunicazione, editori e case discografiche. Questo meccanismo non è perfetto e si è già attirato delle critiche per essersi troppo schierato a favore dei detentori dei diritti d’autore e delle piattaforme e aver dimenticato, come al solito, i diritti degli utenti. Ma almeno ha finora garantito un certo equilibrio tra la protezione degli investimenti nella produzione di contenuti creativi e la promozione dell’innovazione attraverso la sua condivisione online, o almeno di parte di essa.
In altre parole, il costo della violazione del copyright è stato suddiviso tra i tre principali attori: titolari di diritti, piattaforme e utenti. I detentori dei diritti, come le case editrici o le compagnie di comunicazione, informano le piattaforme come YouTube o Facebook di violazione dei contenuti, le piattaforme agiscono e gli utenti sono consapevoli di essere in ultima analisi responsabili di ciò che fanno e dicono su internet.
Proposta: software di filtraggio automatico
La direttiva sul copyright proposta sposterebbe una quota molto più ampia della responsabilità e del costo della violazione del copyright sulle piattaforme, che dovrebbero sorvegliare in modo preventivo quello che viene caricato sui loro server. Ciò significherebbe avere forti incentivi a essere eccessivamente restrittivi in modo da evitare di essere ritenuti responsabili e multati. Ma alla fine, ancora una volta, saranno gli utenti e la libertà di parola a portarne il peso, poiché gli sarà impedito di pubblicare video, canzoni, immagini e prodotti derivati – come parodie, critiche, discussioni, notizie o ricerche – nei casi in cui comprendano alcuni elementi non protetti di un’opera protetta. Ancora una volta, la libertà di espressione o la privacy di un cittadino britannico o dell’Unione europea non sarà giudicata da un tribunale del Regno Unito o dell’Unione europea, ma dal software sviluppato da una società privata statunitense.
Al di là delle sottigliezze legali, forse la parte più problematica di questa proposta riguarda un aspetto tecnologico: il software di filtraggio che la legge renderebbe obbligatorio essenzialmente non esiste. Non esiste un software in grado di riferire con competenza gli usi problematici di materiale protetto da usi consentiti (come appunto critiche, parodia o cronaca), e il riconoscimento accurato dei contenuti è ancora scarso. Per esempio, alcune conferenze universitarie o di noti studiosi della legge sul copyright sono state bloccate per violazione del copyright.
Già questo dovrebbe bastare per dimostrare quanto questa proposta sia superficiale e problematica. Ci sono prove solide che dimostrano l’impatto negativo che questa disposizione avrebbe sui diritti fondamentali – e tutto ciò portando pochissimi benefici in termini di protezione aggiuntiva per i titolari dei diritti.
È vero che la stampa indipendente e i mezzi d’informazione necessari per una democrazia funzionante sono sottoposti a un’enorme pressione finanziaria mentre i lettori vanno online per contenuti “gratuiti”. Allo stesso modo, le piattaforme internet, in gran parte con sede al di fuori dell’Unione europea, spesso competono iniquamente con gli operatori con sede nell’Unione, principalmente a causa delle loro posizioni dominanti e dell’elusione fiscale. Questi sono problemi che richiedono una soluzione. Ma i metodi proposti nella direttiva sul copyright non risolveranno nulla; al contrario, è evidente che faranno a pezzi internet.
(Traduzione di Stefania Mascetti)
Questo articolo è apparso sul sito The Conversation.
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