Se Donald Trump ha commesso reati mentre abbandonava la Casa Bianca dovrebbe ricevere lo stesso trattamento di qualsiasi altro presunto criminale. Il motivo è semplice. Come disse John Adams, il nostro è un governo delle leggi, non un governo degli uomini. Nessuno, nemmeno un presidente, è al di sopra della legge.

Ma allora perché mi sono sentito turbato osservando i servizi sulla perquisizione dell’Fbi a Mar-a-Lago?

Probabilmente perché questo paese si sta avvicinando a un livello di violenza politica mai visto dopo la guerra civile. Per chiunque abbia trascorso un po’ di tempo negli spazi fisici e virtuali della destra americana questo fatto è evidente. Andate a una fiera delle armi. Visitate una chiesa di destra. Partecipate a un raduno di Trump. A prescindere dalle circostanze, le profezie sul giorno del giudizio si ripetono costanti. E fanno paura. In qualunque momento e in qualunque luogo mi sia capitato di sentire parlare di scenari di un conflitto imminente, la premessa era sempre un presunto abuso di potere, nella maggior parte dei casi commesso dai democratici attraverso la strumentalizzazione delle agenzie federali per prendere di mira i loro avversari politici. Mi sono sempre allontanato da queste esperienze con un pensiero ricorrente: se gli Stati Uniti sono una polveriera, un passo falso del governo (reale o percepito) potrebbe accendere la miccia.

Un nuovo capitolo
Pensate che stia esagerando? È un’accusa che mi è stata già rivolta in passato. Ma abbiamo visto cosa succede quando milioni di americani perdono la fiducia nelle istituzioni cardine della nazione. Abbiamo visto cosa succede quando milioni di americani si convincono che i loro leader siano illegittimi. Abbiamo visto cosa succede quando milioni di americani sono manipolati fino a credere che Trump soffra per difenderli, che un attacco contro Trump sia un attacco contro di loro, contro la loro identità, le loro idee e il loro senso di sovranità. E ho paura che tutto questo stia per ripetersi.

Spesso siamo tentati di pensare che il 6 gennaio 2021 sia solo un giorno particolare nella storia del nostro paese. È confortante convincersi che gli eventi di quella giornata – con un presidente che invitava una folla violenta ad assaltare il congresso nel tentativo di ribaltare i risultati di una votazione libera e regolare – siano stati soltanto il risultato di condizioni senza precedenti che per caso si sono presentate tutte contemporaneamente ma che esulano dalla nostra normalità nazionale.

Ma forse sarebbe meglio ipotizzare che il 6 gennaio sia stato l’inizio di un nuovo capitolo.

La gente parlava senza pudore della possibilità di ammassare armi. Molti si preparavano al giorno in cui la violenza sarebbe diventata inevitabile

Di sicuro vale la pena ricordare come Trump, che da tempo si presenta come una vittima di persecuzioni politiche, abbia minacciato di mandare in galera la sua avversaria Hillary Clinton durante tutto il corso della campagna elettorale del 2016, con slogan come “rinchiudetela” scanditi nei raduni in tutto il paese (i repubblicani non hanno battuto ciglio quando l’Fbi ha annunciato un’indagine su Clinton a pochi giorni dalle elezioni). Durante quella campagna elettorale – mentre viaggiavo per il paese parlando con gli elettori repubblicani nella speranza di capire il fenomeno Trump – ho cominciato a sentire parlare di guerra civile. Quelle conversazioni erano sconvolgenti. La gente parlava senza pudore della possibilità di ammassare armi. Molti si preparavano al giorno in cui la violenza sarebbe diventata inevitabile.

Ricordo di aver parlato con Lee Stauffacher, veterano della marina di 65 anni, in occasione di un raduno di Trump in Arizona. “Ho visto questo paese deteriorarsi, trasformarsi dall’America dello stato di diritto che amavo in un paese in cui alcune persone sono al di sopra della legge”, mi aveva confessato. “Hillary Clinton è al di sopra della legge. Gli immigrati clandestini sono al di sopra della legge. I giudici hanno smesso di applicare le leggi con cui non sono d’accordo”.

A quel punto Stauffacher mi ha parlato del suo amore per le armi da fuoco e del suo disprezzo per il Partito democratico. “Vogliono trasformare l’America in un paese comunista. Ma dovranno passare sul mio cadavere”.

Presidente di guerra
Dopo la vittoria di Trump, per qualche tempo, questo genere di retorica ha perso intensità. Poi però è arrivata l’indagine del procuratore speciale Robert Mueller sull’ingerenza russa nelle elezioni e sulla possibile collusione, con l’arresto di alcuni alleati del presidente. In seguito c’è stata la prima procedura d’impeachment a carico di Trump. Quando è partita la campagna per la sua rielezione, Trump si presentava ormai come un presidente di guerra, impegnato al fronte di una battaglia campale tra i patrioti americani e lo “stato profondo” composto dai prepotenti del governo che volevano imporre la conformità e mettere a tacere il dissenso.

Il 18 dicembre 2019, il giorno in cui è arrivato il primo impeachment, Trump ha pubblicato su Twitter una foto in bianco e nero in cui puntava l’indice contro la telecamera. “Non ce l’hanno con me. Ce l’hanno con voi”, si leggeva nella didascalia. “Io sono solo un ostacolo”.

Nel 2020, quando ho ripreso il mio viaggio nel paese per tastare il polso della base repubblicana, mi sono accorto di un cambiamento. L’aggressività era la stessa del 2016, così come le promesse di giustizia sommaria. Ma laddove nel 2016 quelle dichiarazioni erano disordinate (radicate nel risentimento verso la sinistra, nell’opposizione rispetto a un certo approccio politico o in un malessere generale davanti a un paese non più riconosciuto) le nuove minacce mi sono sembrate più precise e mirate. Le persone che ho intervistato mi hanno ripetuto tutte la stessa storia: c’era stato un piano per sabotare la presidenza di Trump fin dall’inizio e ora c’era un nuovo piano per impedirgli di ottenere un secondo mandato. L’intero apparato governativo – funzionari sanitari, burocrati, amministratori elettorali locali – faceva parte del complotto. L’obiettivo era rubare la presidenza a Trump, e di conseguenza a loro.

“Cercano di imbrogliarci fin dall’inizio”, mi ha detto Deborah Fuqua-Frey fuori di uno stabilimento Ford nel Michigan visitato da Trump nei primi giorni della pandemia. “Prima c’è stato Mueller, poi la Russia. Secondo te è un caso che dopo il fallimento dell’impeachment sia arrivato subito questo virus?”.

Le ho chiesto di spiegarsi meglio.

“È colpa dello stato profondo. È un atto di terrorismo domestico da parte del Partito democratico”.

“Se possono farlo a un ex presidente, immaginate cosa possono fare a voi”, si legge in un tweet dei repubblicani in commissione giustizia alla camera

Questo genere di opinioni spiega come mai una moltitudine di individui abbia donato i propri risparmi messi da parte con fatica – oltre 250 milioni di dollari – a un “Fondo per la difesa delle elezioni” che nemmeno esisteva, e spiega come mai altre persone abbiano preso d’assalto i seggi, intimidito gli scrutatori, partecipato a crociate legali improbabili, minacciato di uccidere funzionari elettorali e dato ascolto a teorie bizzarre che proponevano soluzioni come il martirio e la secessione dal paese. Sono gli stessi che alla fine sono saliti sugli autobus diretti a Washington e hanno assaltato il congresso.

L’elemento che rendeva il 6 gennaio estremamente prevedibile – la volontà dei leader repubblicani di approfittare delle insicurezze e della paranoia di questi elettori – è lo stesso che rende l’8 agosto molto pericoloso.

“L’Fbi di Obama ha cominciato a spiare Trump quando era ancora soltanto un candidato”, ha scritto su Twitter la senatrice Marsha Blackburn del Tennessee. “Se possono comportarsi in questo modo con Trump, lo faranno sicuramente anche con voi”.

“Se possono farlo a un ex presidente, immaginate cosa possono fare a voi”, si legge in un tweet pubblicato dai repubblicani della commissione giustizia della camera. E hanno proseguito in un altro tweet: “Il fisco vi cerca. Il dipartimento di giustizia vi cerca. L’Fbi vi cerca. Nell’America di Joe Biden nessuno è al sicuro dalla punizione politica”.

Lo stesso tono è stato adottato dal Partito repubblicano del Texas: “Se ci fosse stato ancora qualche dubbio, ora possiamo essere certi di vivere in un’America postcostituzionale dove il dipartimento di giustizia è strumentalizzato contro gli oppositori politici del regime, come accadrebbe in una repubblica delle banane. Non si fermeranno a Trump. Voi siete i prossimi”.

Non si fermeranno a Trump, questo è sicuro. Il leader dei repubblicani alla camera Kevin McCarth ha sostanzialmente giurato vendetta al dipartimento di giustizia nel caso in cui il suo partito dovesse riconquistare la maggioranza alle elezioni di metà mandato in programma in autunno. Le indagini sul presidente Joe Biden e su suo figlio Hunter sono scontate. Resta da capire quanto sarà ampia la manovra che i repubblicani al congresso, ansiosi di vendicarsi per conto di Trump e soddisfare la base infuriata, lanceranno per colpire le persone vicine al presidente e all’amministrazione.

Se Trump dovesse effettivamente candidarsi alle elezioni del 2024 i rischi sarebbero ancora più alti. In caso di sconfitta contro Biden (o un altro candidato democratico) i repubblicani avranno ancora più ragioni per non accettare il risultato delle urne, considerando la teoria corrente sulle indagini politicizzate contro il loro probabile candidato. Se Trump dovesse vincere, invece, il presidente e i suoi falchi metteranno in atto una purga nel dipartimento di giustizia, nella comunità dell’intelligence e in altri dipartimenti fondamentali eliminando tutti i funzionari ritenuti non abbastanza fedeli. Trump non pagherebbe alcun prezzo politico: una sua vittoria costituirebbe infatti un mandato per perseguire i suoi avversari. Questo scenario appare sempre più probabile.

“Biden sta giocando con il fuoco quando usa una disputa sui documenti per spingere il dipartimento di giustizia a perseguire un probabile avversario elettorale”, ha scritto su Twitter il senatore della Florida Marco Rubio. “Un giorno i nodi verranno al pettine”.

Ma cosa accadrà a quel punto? In momenti incerti come quello che stiamo vivendo è semplicistico e affrettato parlare di una secessione e di una guerra civile come negli anni sessanta dell’ottocento. Eppure è a quello che pensano gli americani. Nel 2021 un sondaggio condotto dall’università della Virginia ha riscontrato che la maggior parte degli elettori di Trump (52 per cento) e una solida minoranza di quelli di Biden (41 per cento) concordava con l’idea che gli Stati Uniti fossero talmente spaccati da rendere auspicabile una soluzione in cui gli stati democratici si potessero separare da quelli repubblicani e creare due paesi diversi. Un sondaggio condotto dal Washington Post e dall’università del Maryland indica che un americano su tre crede che la violenza contro il governo sia giustificata, mentre un’altra indagine condotta all’inizio del 2022 dalla Npr aveva riscontrato che un americano su dieci credeva che la violenza fosse giustificata “in questo momento”.

È difficile immaginare come questa situazione possa migliorare, mentre è facilissimo immaginare come possa peggiorare drammaticamente.

Non sappiamo di preciso cosa stesse cercando l’Fbi a Mar-a-Lago. Non sappiamo nemmeno cosa abbiano trovato gli agenti. Quello che dobbiamo riconoscere – tutti, anche quelli convinti che Trump abbia commesso crimini palesi e meriti di essere perseguito – è che portarlo davanti alla giustizia potrebbe avere conseguenze orribili.

La giustizia nei confronti di Trump vale questo rischio? L’8 agosto gli agenti dell’Fbi hanno stabilito che fosse così. Possiamo solo sperare che avessero ragione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic. Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede negli Stati Uniti. Ci si iscrive qui.

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