Secondo fonti ufficiali, gli enti locali italiani sono indebitati per 40 miliardi di euro con gli istituti di credito a causa dei derivati (prodotti finanziari legati a uno o più valori sottostanti, come azioni, obbligazioni e indici).
Una cifra impressionante, come il numero di enti locali coinvolti in questo tipo di operazioni: 18 regioni (90 per cento), 58 province (54 per cento), 54 capoluoghi di provincia (50 per cento) e circa 700 comuni (8,6 per cento). Ma l’incompletezza dei dati ufficiali fa ritenere che le amministrazioni coinvolte siano molte di più, soprattutto tra i comuni di piccole e medie dimensioni.
Finora le perdite complessive sono state di 6-8 miliardi di euro. Ma cosa ha determinato questa situazione? Le cause sono molte. Innanzitutto, l’uso superficiale dei derivati: invece di considerarli una forma di copertura dal rischio di variazione dei tassi, le amministrazioni locali hanno usato questi strumenti come una fonte di finanziamento. Inoltre, molti enti non avevano tra i loro dipendenti degli esperti in grado di valutare le caratteristiche di un’operazione, di monitorare l’andamento dei tassi e di individuare le opportunità di rinegoziazione dei contratti. Infine, le amministrazioni hanno accusato i comportamenti aggressivi e disinvolti degli istituti di credito.
Come evitare che si ripeta una situazione del genere? Alcuni paesi vietano tout court queste operazioni alle amministrazioni pubbliche. Bisognerebbe almeno limitare l’uso dei derivati solo a finalità di copertura. E in ogni caso questi strumenti dovrebbero essere gestiti da chi ha le competenze adeguate, che oggi mancano agli enti locali. (con lavoce.info)
Internazionale, numero 798, 5 giugno 2009
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