Secondo il censimento Istat del 2005, in Italia sono settemila le cooperative che offrono servizi socio-sanitari, educativi e per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Svolgono la loro attività a favore di circa 3,3 milioni di persone, producono beni e servizi per sei miliardi di euro, coinvolgono 244mila lavoratori e 34mila volontari. Rispetto ai due anni precedenti, il numero di cooperative sociali è cresciuto del 19,5 per cento, quello dei lavoratori del 26,2 per cento e il fatturato del 32,2 per cento.

Questa crescita tumultuosa è stata favorita dalle carenze dei servizi sociali offerti dalle amministrazioni pubbliche, dal progressivo invecchiamento della popolazione, che genera un costante aumento della domanda, e dalla crescente sensibilità della popolazione nei confronti del problema dell’inclusione sociale dei soggetti svantaggiati.

Ma non mancano le ombre. Innanzitutto il basso livello degli stipendi dei lavoratori, dovuto soprattutto alle aste al massimo ribasso indette dalle amministrazioni pubbliche per minimizzare il costo dei servizi sociali.

E poi c’è l’eterno dilemma: pagare stipendi più elevati o erogare più servizi?

Lo stipendio sembra dipendere più dagli anni di esperienza che dal livello di istruzione. A questo bisogna aggiungere che, a parità di condizioni e mansioni, le donne guadagnano meno degli uomini. Infine la scarsa trasparenza di alcuni enti – soprattutto le scatole vuote create solo per accaparrarsi fondi pubblici nel centrosud – rischia di danneggiare la reputazione dell’intero settore.

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