Il surplus del commercio estero della Germania tra il 2002 e il 2009 è stato pari al 7 per cento del pil. Il 60 per cento dell’avanzo deriva dagli scambi con i paesi dell’unione monetaria.

All’origine del surplus tedesco c’è una straordinaria crescita della produttività, che ha spinto le imprese a guadagnare quote di domanda internazionale, ma solo nel settore manifatturiero.

Al contrario della produttività, il salario industriale è sceso del 14,5 per cento in rapporto al valore del prodotto medio del lavoro tra il 2002 e il 2007. Retribuzioni e prezzi tedeschi sono scesi del 10 per cento rispetto ai partner, e i divari di competitività si sono ampliati.

Come nota Sergio de Nardis su lavoce.info, non potendo apprezzare il tasso reale di cambio, l’onere del riequilibrio cade per intero sui paesi dell’eurozona, chiamati ad abbassare prezzi e salari sotto i livelli dell’economia tedesca, emulandone l’espansione sbilanciata nella manifattura.

Volenti o nolenti questo è il quadro con cui anche il nostro paese deve fare i conti. Per questo ci vorrebbe un ministro dello sviluppo economico in carica che non si occupi solo delle esigenze di Mediaset. (con lavoce.info)

Internazionale, numero 870, 29 ottobre 2010

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