La Banca centrale europea ha già speso duecento miliardi di euro nel tentativo di abbassare i tassi d’interesse sui titoli di stato dei paesi indebitati. Questi interventi hanno avuto uno scarso successo, tanto che al vertice europeo dell’8 e del 9 dicembre è stato proposto di versare al Fondo monetario internazionale risorse aggiuntive per duecento miliardi.
Il problema è che gli acquisti della Bce non sono riusciti a influire sulle aspettative degli investitori, perché l’istituto continua a sostenere che non sta comprando sistematicamente titoli di stato. Se lo ammettesse apertamente, potrebbe intervenire in modo molto meno consistente. I costi degli interventi della Bce sono dovuti a una politica di comunicazione contraddittoria e confusa. Per dare la fiducia necessaria ai mercati, la Bce deve proporre con credibilità una linea diversa da quella seguita finora. Finché continuerà a negare l’evidenza per paura di urtare la suscettibilità dei tedeschi, i mercati resteranno pessimisti e l’euro sarà ancora a rischio. E nell’immediato futuro neanche l’integrazione fiscale può rimediare alle carenze della Bce.
Certamente i passi in avanti verso l’unione fiscale sono positivi, ma questa integrazione rischia di consistere solo in vincoli e sanzioni. E dato che le sanzioni sarebbero applicate da organismi privi di una vera legittimità democratica, è molto difficile che questo tipo di integrazione sia accettato nei paesi in crisi. In ogni caso sarà difficile mettere d’accordo tutti in Europa su questioni come le pensioni, il mercato del lavoro, la politica sanitaria e l’assistenza.
Internazionale, numero 928, 16 dicembre 2011
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