In Grecia è stato approvato un taglio al salario minimo del 20 per cento. La misura fa parte del nuovo piano d’austerità imposto dall’Europa. C’è chi spera che rilanci la competitività dei prodotti greci, ma in un paese il cui reddito diminuisce del 4 per cento all’anno si può al massimo guadagnare tempo. Il salario minimo greco era di 877 euro mensili: superava quello spagnolo del 17 per cento, quello portoghese del 55 e quello bulgaro del 600 per cento.

Non stupisce quindi che molte imprese si siano spostate all’estero. Nonostante ripetuti tentativi di abbassarlo, tra il 2004 e il 2011 il costo del lavoro è quasi raddoppiato rispetto al resto dell’Europa. Tagliare i salari, però, non garantisce un calo dei prezzi, perché le imprese greche perseverano in un’attitudine miope: mantengono i prezzi alti per difendere i margini di profitto, invece di ridurli per difendere le quote di mercato. Inoltre c’è un grave problema di rispetto della legalità, visto che molti lavoratori precari ricevono già salari sotto il minimo (e senza contributi). Va aggiunta, infine, la mancanza quasi totale di ammortizzatori sociali.

Come osserva Manos Matsaganis su lavoce.info, la riduzione del salario minimo sarebbe stata accettabile solo se gli imprenditori e il governo si fossero impegnati a introdurre ammortizzatori sociali, a eliminare il lavoro nero, a ridurre i prezzi e ad aumentare gradualmente il salario minimo in futuro. Ma ai lavoratori in cambio non è stato offerto molto. Ora serve un atto di solidarietà da parte dell’Europa, che dia il tempo alla Grecia di risolvere i suoi problemi strutturali.

Internazionale, numero 936, 17 febbraio 2012

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