Apparentemente l’Italia è tra i paesi con il più alto numero di imprese e imprenditori. Le imprese iscritte alla camera di commercio superano i sei milioni, in un paese che conta poco più di sessanta milioni di abitanti. Ma il termine “impresa” in questo caso è piuttosto vago, perché comprende sia il lavoratore autonomo sia la grande multinazionale.
Le camere di commercio registrano nascite e morti delle imprese, come l’anagrafe. In alcune regioni italiane nascono più imprese che bambini, ma l’88 per cento delle “neo-nate” non arriva a compiere un anno. Inoltre, il 60 per cento delle imprese ha solo un addetto: si tratta quindi di lavoratori autonomi o, in molti casi, dipendenti costretti a prendere la partita iva. Il 95 per cento delle aziende ha meno di dieci dipendenti.
Come sottolinea Michelangelo Filippi su lavoce.info, l’apertura di nuove imprese non è sempre una buona notizia. Il lavoro autonomo può essere una conseguenza dell’aumento della disoccupazione: molti lavoratori tentano di “mettersi in proprio” come ripiego dopo aver perso il posto di lavoro.
Ma la forza dimostrata dalle persone che non si arrendono alla disoccupazione può far sperare nel futuro, se si fanno riforme che aiutino le piccole imprese. Queste aziende, la maggior parte delle quali è a conduzione familiare, soffrono più di tutte la crisi. La pressione fiscale, la lentezza della burocrazia e le difficoltà nell’accesso al credito bancario non aiutano la crescita e gravano sempre di più sulle imprese, obbligandole spesso a chiudere i battenti.
Internazionale, numero 938, 2 marzo 2012
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