Dall’inizio della crisi nel 2007 l’indice della borsa italiana Ftse Mib è diminuito del 59 per cento, mentre le borse di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna hanno già recuperato il terreno perduto. L’Italia arranca a causa dei mali profondi della sua economia.

Si potrebbe obiettare che l’indice della borsa dà una visione distorta dell’economia, perché banche e assicurazioni, i settori più colpiti in questa fase negativa, rappresentano una grande quota a piazza Affari. Ma proprio il fatto che sul mercato finanziario italiano non siano presenti più aziende della realtà produttiva italiana è uno dei fattori di debolezza. Dall’ottobre del 2009, inoltre, l’indice relativo alle banche quotate sul mercato italiano è sceso del 62 per cento. In Germania e Gran Bretagna le banche hanno perso rispettivamente il 25 e 15 per cento, mentre gli Stati Uniti sono già tornati ai livelli di due anni fa.

Viene naturale chiedersi come sarebbero andate le cose se le banche italiane non avessero ricevuto dalla Banca centrale europea 139 miliardi di euro al tasso agevolato dell’1 per cento. La distanza tra l’Italia e gli altri paesi è rimasta invariata in quasi cinque anni. Mentre gli altri paesi sfruttavano la debole ripresa per crescere, noi siamo rimasti fermi. Come spiega Marco Onado su lavoce.info, quella distanza si può tradurre numericamente nel differenziale di crescita attesa del paese, degli utili delle imprese e quindi del valore delle azioni. Come aspettarsi che la borsa italiana segua quella degli altri paesi quando il nostro pil aumenta meno degli altri nelle fasi positive e cala di più in quelle negative?

Internazionale, numero 940, 16 marzo 2012

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