Sulla base dei dati Istat, nel 2012 le famiglie italiane hanno speso 2.419 euro al mese. Di questi, 468 euro sono stati usati per comprare alimentari e bevande e 1.951 euro per i prodotti e i servizi non alimentari. Come è noto, dal primo ottobre 2013 l’iva è aumentata dal 21 al 22 per cento. Il rincaro non colpisce tutti i beni e servizi, ma solo una parte consistente, pari a circa il 40 per cento della spesa media degli italiani.

Il 60 per cento circa di beni e servizi comprati dalle famiglie (compresi i fitti figurativi imputati dall’Istat) sono esenti da iva o sono soggetti ad aliquote inferiori del 4 e del 10 per cento, aliquote che non sono state ritoccate dal provvedimento del governo. Come scrive Francesco Daveri su

lavoce.info, se si ipotizza che l’aumento dell’iva sia trasferito integralmente sul prezzo di vendita e che le famiglie non cambino la composizione della loro spesa (per esempio riducendo gli acquisti di beni i cui prezzi sono aumentati), l’aumento della spesa per ogni famiglia sarebbe di 114,40 euro. Nello specifico, l’aumento sarà di circa 130 euro nel nord dell’Italia, di 119 al centro, di 91 nel mezzogiorno e di 81 euro nelle isole.

Certo, è un aggravio di spesa che non rende felice nessuno. Per alcune famiglie può essere problematico, ma non è neanche quella micidiale stangata (350 euro) prefigurata dalla Cgia di Mestre e dalle associazioni dei consumatori, e ripresa nei titoli dei mezzi d’informazione negli ultimi giorni. Sparare numeri a caso serve solo a terrorizzare le persone. E non fa certo bene ai consumi.

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