Una breve visita al museo nascosto sotto il forte Al Fahidi vi farà subito capire quanto è moderna la città icona del ventunesimo secolo. L’intera storia di Dubai può essere ricostruita a partire dalle foto aeree.
C’è la megalopoli moderna, che si estende nell’entroterra verso il deserto e sbuca dal mare con i suoi quartieri costruiti su isole artificiali come The Palms e The World. C’è la Dubai di una decina d’anni fa, con strade che si spingono nel deserto e tanti grattacieli in costruzione.
E c’è la Dubai dell’immediato dopoguerra: un forte, un palazzo, una manciata di case, qualche barca da pesca sulle spiagge e qualche cammello. Più indietro nel tempo non ci sarebbe stata nessuna Dubai da fotografare.
Solo Shanghai può competere con Dubai per il titolo di città più moderna del nuovo secolo. Ma in un mondo in cui le parole d’ordine sono sostenibilità e sviluppo rispettoso dell’ambiente, Dubai fa paura.
Costruire una pista da sci coperta in un posto dove la temperatura di solito si aggira intorno ai 40 gradi non sembra un’idea geniale. E può una compagnia aerea aver bisogno di 40 Airbus A380 nuovi di zecca? Per non parlare del problema di chi lavora e chi guadagna.
Un gruppo ristretto di cittadini originari di Dubai possiede quasi tutta la città, un numero leggermente maggiore di ricchi espatriati, per lo più occidentali, si riempie le tasche di soldi, e un’ampia comunità di immigrati dai paesi in via di sviluppo fornisce le braccia in cambio di molto poco.
Dubai si ama o si odia. In ogni caso, osservare come sta cambiando è affascinante. Sembra decisamente che qualcuno stia dalla sua parte. Perfino la pioggia adesso cade più regolarmente di dieci anni fa.
Internazionale, numero 688, 13 aprile 2007
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