Il monte Everest e la catena dell’Himalaya. (Tim Chong, Reuters)
Mi piace camminare e ogni anno cerco di trovare il tempo per un trekking di almeno una settimana. Durante i nostri viaggi ci spostiamo quasi sempre troppo in fretta, saltando da un aereo all’altro, viaggiando su treni superveloci e prendendo multe per eccesso di velocità.
Quando camminiamo non possiamo accelerare più di tanto. Andiamo alla velocità che Dio ha deciso per noi.
Nell’ultimo anno sono riuscito a camminare per più di tre settimane: qualche giorno sulla Great ocean walk, inaugurata di recente lungo la costa dello stato australiano di Victoria; due settimane attraversando l’Inghilterra dal mare d’Irlanda al mare del Nord, lungo la Wainwright way; e un’altra settimana lungo l’Overland track, in Tasmania.
Negli ultimi anni ho anche passato una settimana nella zona di Ortisei, nelle Dolomiti, ho percorso la Gr20 in Corsica e il sentiero che porta al campo base dell’Everest in Nepal. E ho in programma un’escursione in Tanzania.
Il Nepal è probabilmente in cima alla mia classifica di camminatore. Sono tornato nella regione dell’Himalaya più volte che in qualsiasi altro posto della terra, e ci sono tornato per camminare. Ho percorso il circuito Annapurna, attraversando il passo di Thorung La a 5.416 metri, un po’ più in alto del campo base dell’Everest.
Quella al campo base è ormai un’escursione classica, soprattutto da quando si devia verso Gokyo e si attraversa il passo di Cho La, a 5.420 metri, facendo un circuito completo.
Quindici anni fa ho percorso il Helambu trail con mia moglie, un gruppo di amici e i bambini. I miei figli all’epoca avevano 8 e 10 anni, ma i più piccoli del gruppo ne avevano solo sei. E hanno camminato per tutta la settimana divertendosi un mondo.
Internazionale, numero 689, 20 aprile 2007
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