Una volta il famoso investitore americano Warren Buffett ha detto che abbattere i fratelli Wright durante il loro primo volo sarebbe stato un ottimo investimento. Negli oltre cento anni che sono passati da quel primo tuffo nei cieli, il bilancio delle linee aeree è stato sempre in rosso.
Ma c’è qualcosa nell’aviazione commerciale che va oltre gli aspetti economici. In nessun altro settore esistono compagnie definite “di bandiera” che perfino i paesi più microscopici sembrano dover possedere. Quando faceva parte dei Mothers of Invention, Frank Zappa disse che un paese non è un paese se non ha una compagnia aerea e una birra. Ma aggiungeva che anche una squadra di calcio e qualche arma nucleare non guastano.
Negli ultimi mesi si è fatto molto chiasso sulla crisi delle compagnie aeree. Negli Stati Uniti, dove sembra che per essere una vera compagnia aerea bisogna avere al proprio attivo almeno un fallimento, la Us Airways sta cercando di acquisire il controllo della Delta Air Lines (che naturalmente è fallita), mentre in Australia la Qantas è stata comprata da un gruppo privato.
La Qantas è in attivo, ma solo perché ha quasi il monopolio sulle rotte del Pacifico: la sua unica concorrente è la vecchia United degli Stati Uniti, e nessuno vuole volare con una compagnia statunitense se lo può evitare.
Perfino le vere bancarotte, come quelle europee della Swissair e della Sabena, del 2001, non sono sembrate un grande problema. Nel giro di poco tempo le due aziende sono rinate con i nomi di Swiss e Sn Brussels Airlines, e grazie alla sigla Sn la nuova Sabena ha potuto continuare a usare lo stesso codice. Qualcuno vuole fare un’offerta per l’Alitalia?
Internazionale, numero 690, 27 aprile 2007
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