Dopo il turismo ecologico, quello culturale, avventuroso e di lusso, adesso c’è anche il turismo macabro: la gente parte per visitare luoghi di morte, di catastrofe o depravazione.
Tra le mete turistiche popolari molte potrebbero essere definite “macabre”. Per esempio i cimiteri, come il Père Lachaise, una delle maggiori attrazioni di Parigi. Lì sono sepolti Chopin, Balzac, Wilde, Proust, Modigliani e la Piaf, anche se è soprattutto l’icona del rock Jim Morrison ad attirare le folle.
Altre mete di questo tipo sono la casa di Anna Frank ad Amsterdam, i murales cattolici e protestanti delle case di Belfast, il centro di documentazione Topografia del terrore nell’ex sede della Gestapo a Berlino, o Robben Island, al largo della costa di Città del Capo, che per venticinque anni è stata la prigione di Nelson Mandela. Anche Ground zero rientra in questo elenco.
Il turismo macabro s’intreccia spesso con il cattivo gusto. Gracelands, l’ex residenza di Elvis Presley, ne è un classico esempio. Oppure Grutas Park, detto anche Stalin World, il parco a tema di Druskininkai, in Lituania, con la sua bella collezione di statue dell’era sovietica. Peccato che, nel caos seguito all’invasione dell’Iraq, siano andate distrutte tante belle statue di Saddam Hussein: potevano diventare un’attrattiva ideale per chi visita Baghdad.
Si può fare del turismo macabro anche partecipando a progetti di assistenza o facendo i volontari nelle zone in cui si è verificata una catastrofe. L’enorme partecipazione alle operazioni di soccorso dopo lo tsunami del 2004 è un esempio molto positivo di turismo macabro.
Di questi tempi, se ci fossero un’altra Katrina o un altro terremoto in Pakistan, i volontari non mancherebbero.
Internazionale, numero 693, 18 maggio 2007
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