Si discute molto di guerra al terrore (l’errore che commette il personaggio di Borat nel suo film chiamandola “guerra del terrore” probabilmente si avvicina molto di più alla realtà) e di armi di distruzione di massa.

Ma da quando nel 1945 due bombe atomiche sono state sganciate sul Giappone nessuno è mai stato ucciso da una bomba atomica o da altre armi di distruzione di massa. Per fortuna, negli ultimi sessant’anni nessuno è più stato ucciso da una bomba atomica.

Nello stesso periodo, però, milioni di persone sono state uccise da “armi di distruzione minore” come le mine antipersona e i fucili da guerra. Perciò sono contento che un mio amico sia entrato a far parte del gruppo che deciderà il posto che 121 paesi occupano nell’Indice della pace globale. Lo studio, un’idea dell’imprenditore informatico Steve Killelea, è stato sostenuto da persone come il dalai lama e l’arcivescovo Desmond Tutu.

Sfruttando le competenze dell’Economist intelligence unit, il gruppo ha stabilito 24 indicatori, tra cui il livello di spese militari e la corruzione nel paese, il rispetto dei diritti umani, i rapporti con i paesi vicini e anche la facilità con cui si possono acquistare queste armi di distruzione minore. Il nuovo libro di Naomi Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri (Rizzoli 2007), afferma che l’instabilità globale e le guerre locali sono un ottimo affare per i produttori d’armi senza scrupoli.

La Norvegia è in cima alla classifica dell’indice, seguita da Nuova Zelanda, Danimarca, Irlanda e Giappone, ma le sorprese sono in fondo alla lista. Gli Stati Uniti si piazzano al 96° posto, poco sopra l’Iran. All’ultimo posto c’è l’Iraq, giudicato il paese meno pacifico del mondo. Ha battuto Sudan, Israele, Russia e Nigeria. L’Italia è al 33° posto, subito prima della Francia.

Internazionale, numero 726, 11 genaio 2008

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