Il mio diario si fa beffe di me, con le sue pagine vuote e gli appuntamenti cancellati. Ho ancora la mia agenda Filofax, la stessa che ho comprato negli anni ottanta, quindi quando parlo di cancellare intendo proprio fisicamente. Girando le pagine, vedo gli sbiaditi segni di ciò che avremmo dovuto fare in questo periodo: il giro che Ben avrebbe dovuto fare negli Stati Uniti e poi in Giappone e Australia; le mie serate fuori, al Duckie, a vedere Harry Styles, Weyes Blood e Waxahatchee; gli ultimi esami di mia figlia all’università, il ballo estivo e la sua laurea.

Ora, la nostra vacanza estiva, che ancora se ne sta lì, scritta a matita, non sembra più realizzabile: con molta probabilità dovrò presto cancellare anche quella.
Nel frattempo, il diario che avevo cominciato a tenere di Questi tempi strani, Questi giorni difficili o come diavolo questo periodo sia chiamato, ha esaurito la sua spinta. Ero partita decisa ad annotare ogni cosa, per sperimentare e cogliere l’insolito, ma non ho retto il confronto con la monotonia. Ciò nonostante, quando riguardo le cose che io stessa ho scritto mi accorgo che hanno sempre la stessa qualità allucinatoria: sono noiose e ripetitive, con improvvisi scoppi di totale stranezza.

Ogni giorno faccio una camminata, mi occupo del giardino e preparo da mangiare, per poi andare a letto e fare sogni che svelano la falsità del mio apparente stato di calma. Uno dei miei sogni riguarda Hitler, e io devo ucciderlo. In un altro sogno mi trovo su un aereo che è costretto a fare rifornimento di carburante in volo e poi deve affrontare un atterraggio di emergenza. La notte dopo mi occupo di alcuni gattini, ma mi accorgo con orrore di averne trascurato uno e che ora il micio è in pericolo di vita. Poi qualcuno a cui tengo sta facendo un viaggio tra pericolosissimi passi di montagna e non riesce a tornare a casa. Ed eviterò di annoiarvi con gli altri. I sogni degli altri sono un incubo ad ascoltarli, ma rendono l’idea.

La sera in cui avrei dovuto fare la dj al Duckie, mi metto a farlo dalla mia cucina, postando le canzoni che avrei dovuto mettere e bevendo margarita

Il mio cervello sta lavorando alacremente sotto la superficie. FUORI, in superficie, è tutto un quiz su Zoom, caffè su Zoom, bingo su Zoom e, a essere sincera, non avevo mai visto i miei familiari con tanta frequenza… Meno male che mi stanno simpatici.

Per tirarmi su, compro uno shaker per cocktail e dei bei bicchieri nuovi e comincio a preparare drink che non ho mai bevuto se non nei bar. Una sera preparo cosmopolitan per i due figli che sono a casa con noi poi, quando riguardo la ricetta, mi rendo conto di aver sbagliato le dosi e raddoppiato la vodka. Quando scendono per la cena, hanno entrambi gli occhi incrociati e un rinnovato rispetto per l’abilità da barista della propria madre.

Tolgo i libri che stanno vicino alla televisione e trasformo quell’angolo – tutto intorno alle bottiglie con le cartoline di Germaine Greer, Cindy Sherman, Dylan Thomas – nell’Area cocktail. La sera in cui avrei dovuto fare la dj al Duckie, mi metto a farlo dalla mia cucina, postando le canzoni che avrei dovuto mettere quella sera e bevendo margarita; nonostante sia divertente, forse, mi ricorda troppo che in realtà avrei voluto trovarmi in un altro posto. In pista, in discoteca, con dei drink dentro di me.

La mattina seguente esco a fare l’ennesima dannata passeggiata e scopro che qualcuno ha gettato sui prati un mucchio di foglietti, su ognuno dei quali c’è scarabocchiata una frase del tipo “pensiero positivo”. Quando mi chino a guardarne più da vicino uno, che era andato a posarsi proprio accanto a degli escrementi di cavallo freschi, leggo che porta scritto: “NO AL VACCINO. IL 5G NON RISPETTA LA VITA”.

Tornata a casa do un’occhiata a Twitter e provo ad allentare un pochino il mio lockdown personale togliendo il silenziamento ad alcune persone. Non riuscendo a sopportare il fatalismo, le affermazioni di certezza, la rabbia in cui molte persone sembrano crogiolarsi, ho applicato una inflessibile politica di silenziamento per la mia stessa incolumità. Conosco la quantità di rabbia che riesco a sostenere, non è molta. E quando per un attimo allento le restrizioni, viene fuori che è ancora troppo presto; così, chiudo di nuovo le porte e mi ritiro nel mio angolo preferito di Twitter.

Il profilo da cui mi arrivano le parole che mi toccano più nel vivo ultimamente è uno che pubblica solo citazioni di Samuel Beckett. Come sempre, mi fanno ridere in un modo che mi sembra particolarmente calzante rispetto a Questi tempi strani. La citazione di oggi è tratta da Aspettando Godot: “Estragone: ‘Non posso più andare avanti così’. Vladimiro: ‘Sono cose che si dicono’”.

(Traduzione di Maria Chiara Benini)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale New Statesman.

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