L’altro giorno, Ben e io siamo andati al cinema per la prima volta dopo circa un anno e mezzo. Il film che abbiamo scelto per la nostra avventurosa uscita – ed effettivamente l’abbiamo vissuta come un’avventura – è la versione rimasterizzata di Perdutamente tua, il film del 1942 con Bette Davis, sul grande schermo del BFI Southbank. Un film godibile, valido sotto vari aspetti, che racconta la storia di una donna che si emancipa da ciò che la teneva prigioniera per andare a trovare il suo posto nel mondo.
Bette Davis interpreta il ruolo di Charlotte Vale, una donna di mezza età, nubile, figlia indesiderata di una madre oppressiva e crudele. La famiglia di Charlotte è aristocratica e ricca, ma tutto ciò che vediamo di lei all’inizio sono i suoi piedi mentre scende le scale: calze spesse, dignitosissime scarpe nere con lacci e una gonna che arriva decorosamente fino a metà polpaccio.
Bette è truccata in modo da apparire il più vecchia e sciatta possibile, con i capelli grigi, gli occhiali da vista e due folte sopracciglia. Soprattutto, però, appare terrorizzata: sembra un animale ferito, messo all’angolo, tenuto in allerta e sulla difensiva dalla propria sofferenza.
Il trailer di Perdutamente tua
Quando giunge all’esaurimento nervoso, per usare una terminologia adatta all’epoca, la mandano nella clinica diretta da Claude Rains, la cui terapia sembra consistere nell’infusione di fiducia in se stessa e un po’ di tessitura al telaio. Una volta guarita, parte per una crociera di lusso.
Di nuovo, la prima inquadratura che abbiamo di Charlotte sulla nave è dai piedi in su – con che visibile trasformazione! Stavolta indossa scarpe eleganti con tacco alto e le calze sono leggere e velate. Nella mano avvolta da un guanto bianco stringe una borsetta e la giacca del tailleur le evidenzia il sottile punto vita. Il suo viso è per metà nascosto dall’ampia falda del suo cappello ma la bocca, fatta risaltare dall’abbondante rossetto, è fiera e intrigante nonostante gli angoli tendano lievemente verso il basso. Così ti chiedi se ancora sia impaurita e ferita.
Nonostante l’importanza della storia d’amore, la vicenda centrale del film ruota intorno a lei
Quando, più tardi, appare cinta da una mantella con delle applicazioni a forma di farfalla, abbiamo finalmente un quadro chiaro – la sua metamorfosi potrà anche sembrare completa, ma c’è ancora del lavoro da fare. La farfalla è uscita dalla crisalide, ma non è ancora formata.
Charlotte incontra Paul Henreid e si innamora di lui, lui accende due sigarette tenendole in bocca insieme e sì, quella scena è comunque carica di tensione sessuale… anzi forse lo è di più dopo il covid. Quella sigaretta è stata tra le labbra di lui, ed ora è tra quelle di lei! Quel pizzico di pericolo dona alla scena una nuova energia!
E nonostante l’importanza della loro storia d’amore, non è quella la vicenda centrale del film, che in realtà ruota intorno a lei. Charlotte Vale è regolarmente nascosta dalla falda del suo largo cappello, o per meglio dire da un velo; la maggior parte della sua persona resta celata perfino a lei che cerca di capire chi è davvero e cosa desidera.
Nella celebre fine del film la protagonista capisce che quella storia d’amore non può essere tutto per lei e tantomeno perfetta. “Non chiediamo la luna”, dice. “Abbiamo già le stelle”. Ho avuto la sensazione che l’intero pubblico in sala avrebbe potuto gridare a gran voce le stesse parole. Sono certa che tutti stessimo dicendo silenziosamente quelle stesse battute dietro le mascherine, probabilmente in lacrime.
Ho una grande nostalgia di film di questo genere, soprattutto perché li ho visti tutti da bambina insieme a mia madre. Lei adorava Bette Davis e quando era ragazza le somigliava anche un po’, con quegli occhi grandi ed espressivi e i capelli tirati indietro a scoprire la fronte. Abbiamo guardato insieme Eva contro Eva, La signora Skeffington e Tramonto. Mamma recitava per me la scena di Piccole volpi in cui la Davis rifiuta di dare al marito moribondo la sua medicina per il cuore e insieme ci crogiolavamo in quella deliziosa drammaticità. Che perfidia! Che fascino!
Li ho rivisti intorno ai vent’anni, quando all’Everyman Hampstead davano ancora principalmente film di una volta e potevi farci un salto alle due del pomeriggio e ritrovarti seduta con altre tre persone in totale a vedere Il mistero del falco, La fiamma del peccato, L’angelo azzurro, Il vaso di Pandora, Gilda, Vertigine, Il diritto di uccidere e Notorius.
Rivedere Perdutamente tua mi è piaciuto tantissimo, come sempre. Da un punto di vista simbolico, è stata un’esperienza perfetta: è la storia di qualcuno che è stato rinchiuso e che ora tenta di uscire alla luce, all’inizio a piccoli passi e con il viso coperto a metà. Una donna che si invaghisce dell’idea stessa del contatto fisico e che alla fine guarda al di fuori della finestra aperta e accetta i limiti dell’amore e della vita stessa.
Bette Davis ci dice che ciò che abbiamo al momento è bello, può essere abbastanza. Deve esserlo.
(Traduzione di Mariachiara Benini)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Statesman.
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