L’ampio rapporto Unesco 2011 Education for all, “The hidden crisis: armed conflict and education”, mostra che nei 35 paesi tormentati dalle guerre negli ultimi dieci anni la mortalità infantile è doppia rispetto agli altri, i bambini esclusi da scuola sono il 42 per cento del totale di 65 milioni degli esclusi del mondo, l’analfabetismo giovanile è al 21 per cento contro una media del 7 per cento.
In questi paesi, quasi tutti poveri, le scuole sono un bersaglio favorito della guerra. Destinare il 10 per cento delle spese militari all’istruzione farebbe diminuire l’esclusione del 7 per cento all’anno. Un’analoga riduzione delle immense spese militari dei paesi ricchi cancellerebbe rapidamente l’esclusione scolastica nel mondo e permetterebbe di assumere due milioni in più di insegnanti, di migliorare la qualità delle scuole elementari, di alfabetizzare il 17 per cento di adulti ancora analfabeti (796 milioni, due terzi donne).
Alcuni intellettuali italiani, esperti d’altro, non di scuola, in queste settimane vanno gorgheggiando querimonie contro la nostra scuola, la chiamano sul banco degli imputati insieme a ragazze e ragazzi “dagli occhi cerchiati”, “sfumacchianti nella nebbia”. Ignorano i dati italiani sull’analfabetismo adulto di ritorno e quello che la nostra scuola ha fatto e fa. E ignorano i dati ricordati all’inizio. Perfino nei paesi in guerra è in cammino la scuola dell’inclusione, la scuola per tutti, quella di don Milani, Gianni Rodari, Mario Lodi e della nostra ottima scuola elementare.
Internazionale, numero 889, 17 marzo 2011
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