Dai due lati dell’Atlantico si riaccende la discussione sulla valutazione delle università. Il Times Higher Education pubblica la graduatoria 2011 delle università del mondo, fornita dal data provider Thomson Reuters sulla base del “largest global survey of academic opinion” di 13mila personalità. In realtà Reuters usa anche altri criteri meno opinabili delle opinioni (aree disponibili, rapporto numerico docenti studenti, eccetera). Continua però a mancare un parametro oggettivo importante per i paesi meno ricchi e per l’Italia: la quantità di risorse finanziarie pubbliche e di privati sostenitori di cui le università dispongono.

Negli Stati Uniti, Washington Monthly e Community College Survey of Student Engagement rafforzano e tarano i criteri già sperimentati che sconvolgono le graduatorie di Reuters o di Shanghai: raccogliere le notizie (oggettive) sui processi di formazione, sullo studio e la effettiva way of life degli studenti. Sul País, José Luis Pardo Torío, filosofo e saggista spagnolo, punta il dito contro i criteri di “eccel­lenza” da supermercato usati nei cacareados ranking delle università che lasciano fuori la storia, il prestigio secolare di Oxford, Harvard o Sorbona. Non si discute l’opportunità di valutare e, se può servire, graduare. Si chiedono migliori criteri adatti al complesso processo di elaborazione della conoscenza e formazione di nuove leve.

Internazionale, numero 897, 13 maggio 2011

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it