Cittadinanzattiva ha pubblicato un’indagine che confronta lo stato degli asili nido in Italia e in Europa. La situazione europea non è esaltante. Nel 2003 a Barcellona la Commissione europea stabilì che nel 2010 ogni paese dell’Unione europea avrebbe dovuto garantire asili nido ad almeno il 33 per cento di bambine e bambini tra zero e tre anni. Ciò produrrebbe un aumento del 7 per cento del pil, grazie alla maggiore occupazione femminile.

Ne siamo lontani. Solo Danimarca, Svezia e Islanda hanno più del 50 per cento dei bambini all’asilo. Seguono intorno al 33 Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo. Sotto il 25 stanno Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania. In Italia, in coda alla graduatoria, i bimbi all’asilo nel 2008 sarebbero stati secondo l’Istat il 12,7 per cento.

Liberare le donne e accrescere il pil sono obiettivi importanti. Ma non i soli. Parlare con gli altri, ascoltarli e capirli, imparare a farsi ascoltare, cercare e trovare la lingua e i modi giusti di usarla che facciano da ponte per queste relazioni, dunque imparare a convivere, assuefarsi a esercitare libertà e diritti in collaborazione con altri: queste cose si imparano in quell’età aurorale, da ciuchi, diceva Belli. I servizi educativi per tutti i bimbi sono preziosi.

È lì e allora che è più facile imparare l’abc di quel “curricolo implicito” che sorregge poi, se lo si è appreso, prima l’apprendimento dei saperi, poi la vita civile di un paese libero ed equo.

Internazionale, numero 927, 8 dicembre 2011

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