Si sta ripetendo in Francia quel che a suo tempo segnalammo per le elezioni alla presidenza degli Stati Uniti e per le elezioni britanniche: nella campagna per le presidenziali del 22 aprile le proposte in materia di educazione hanno un ruolo centrale. I nodi dello sviluppo scolastico del paese vengono in primo piano in una prospettiva non puramente accademica, ma come materia su cui orientarsi per decidere e fare. Ha deciso e fatto e torna a proporre, esponendosi in prima persona, Nicolas Sarkozy. Le sue idee (autonomia e concorrenza delle scuole, eliminazione di scuole senza un numero minimo di alunni, uscita di scuola e apprendistato a 14 anni) sono contrastate da François Bayrou, candidato centrista, insegnante e storico, già tre volte ministro dell’istruzione.

Bayrou argomenta un suo ne changez rien: la scuola funziona così com’è, salvo più incisivi provvedimenti disciplinari. François Hollande, appoggiato da esperti di scuola come Jean-Louis Auduc e Vincent Peillon, presenta il piano più articolato di innovazioni necessarie per fronteggiare i punti di crisi (abbandoni, formazione degli insegnanti, livelli di apprendimento) e fare delle scuole un centro attivo nella costruzione di equità sociale. Ma la discussione si va facendo sempre più dettagliata. E può accadere che a Hollande si rimproveri d’aver detto che a inizio scuola media è “in difficoltà” il 40 per cento degli iscritti: ma il 40 per cento sono i maschi in difficoltà, le femmine lo sono solo per il 10. Perché? E che fare?

Internazionale, numero 939, 9 marzo 2012

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