Mano e parola, esercizio della manualità e conquista del linguaggio, come affermava Hegel e mostrano le scienze moderne dalla paleoantropologia alle neuroscienze, sono stati e sono i fattori decisivi per lo sviluppo della mente umana. La fuga dalla manualità che accomuna i paesi ricchi del mondo è un grave errore. Lo è specialmente in Italia, che è il quinto paese nelle esportazioni manifatturiere mondiali e precede Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
E tuttavia il disprezzo della cultura manuale da noi domina. Le scuole tecniche e professionali sono considerate di serie B o C. E, secondo la Confartigianato, nel 2009 un’impresa artigiana su quattro ha avuto difficoltà a reperire giovani che vogliano imparare un mestiere. Altrove però i ceti dirigenti ora si preoccupano e si sforzano di reagire, come mostra il recente libro di Julien Millanvoye,
J’ai un métier (Globe 2013). E per reagire, per dare coscienza del valore persistente dei mestieri manuali, tra il 2 e il 7 luglio si terranno, stavolta a Lipsia, le Olympiades des métiers, o Worldskills competition, che dal 1950 si svolgono a turno in diversi paesi ogni due anni.
Sono attesi duecentomila visitatori e migliaia di partecipanti alle gare: piastrellisti, pasticceri, cuochi, orafi, estetisti, parrucchieri, elettricisti, falegnami, muratori, meccanici d’automobili, carpentieri, idraulici, muratori, camerieri, tagliapietre. L’Italia, assente come nazione dal 1959, è rappresentata solo dal Sudtirolo, con la provincia di Bolzano.
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