Il 31 gennaio Carmen Fariña, assessora alle scuole di New York, ha annunziato che una parte dei fondi previsti in precedenza per finanziare le charter school saranno invece destinati a scuole dell’infanzia pubbliche.
E il sindaco, il democratico Bill de Blasio, ha annunziato un altro provvedimento restrittivo. A New York, come in altri stati, molte
charter school finora sono state ospitate gratuitamente in locali sottoutilizzati di scuole pubbliche. D’ora in poi dovranno pagare l’affitto e molte temono di chiudere in rosso i loro bilanci. L’Economist, generalmente molto sensibile alle ragioni dei privati, critica (15 febbraio) le scelte di de Blasio e vi vede l’avvio d’una deprecabile politica di contenimento dell’espansione delle charter school.
Le charter sono scuole private molto diverse da quelle europee. Sono rigidamente non profit, gli alunni non pagano tasse, le scuole, finanziate apertamente dallo stato a seconda del numero degli alunni, operano con contratti a tempo eventualmente rinnovabili a patto che gli allievi per percentuali di successo e per punteggi ai test standard abbiano risultati pari o migliori rispetto agli allievi delle scuole pubbliche. Entro questi limiti le scuole hanno piena autonomia nell’organizzazione dei corsi. Il numero delle charter è in crescita in tutti gli stati e in crescita è il favore del pubblico. Ma sono in crescita anche critiche precise, autorevoli e non di parte, che l’Economist tace, sull’effettiva qualità degli apprendimenti.
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