La cattiva lingua della buona scuola
Domenico Starnone su Internazionale ha rilevato il lirismo che, anteponendo l’aggettivo al sostantivo, accompagna la stessa designazione del progetto governativo La buona scuola, ora approvato alla camera. E Marco Lodoli sulla Repubblica si è attribuita la paternità dell’espressione. Starnone ha esteso la sua ironia anche all’espressione “pubblica istruzione”. Poca cosa, al momento, rispetto a quel che va succedendo in Francia. Da destra a sinistra, dalla base ai vertici, volano accuse di jargonner, ricorrere a espressioni di gergo a volte ridicole. Nei documenti che accompagnano la riforma dell’insegnamento nelle superiori proposta dalla ministra Najat Vallaud- Belkacem (ora ufficializzata nonostante gli scioperi dei docenti) gli avversari hanno pescato varie perle.
Per esempio per l’educazione fisica si dice che gli alunni devono imparare tutti a nuotare in “ambienti acquatici profondi standardizzati”, per dire “in piscina”. Luc Cédelle su Le Monde ricorda che le accuse di gergo non sono nuove e si distribuiscono equamente. Diceva Gramsci: “Non è giusto dire che queste discussioni siano inutili. Ogni volta che affiora la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale” (Quaderni del carcere, Einaudi 2007).
Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2015 a pagina 100 di Internazionale, con il titolo “La ‘quistione della lingua’”. Compra questo numero | Abbonati